domenica 24 luglio 2011

Motivazione del Premio Lunezia Pop ai Pooh, di Marco DI Pasquale


Redazione Musical-Letteraria Lunezia 2011

SEZIONE: «PREMI DI GENERE»
Analisi musical-letteraria
dell’album Dove comincia il sole
dei Pooh
Premio Lunezia Pop 2011

L’album fonde gli stili più vari in una miscela pop che può vantare l’icona sonora vocale dello storico gruppo, il quale, come i più grandi artisti di questo genere, è capace di rinnovarsi pur mantenendo lo stesso impatto sonoro: «icone immortali del pop [...] hanno incentivato continuamente il loro successo rilanciando la loro immagine, ma soprattutto affidando all’icona musicale il ruolo essenziale di coinvolgere le folle e di stimolarne il gusto» e questo perché «gli artisti pop destinati a lasciare un segno nella storia della musica spesso introducono una condizione di “conflitto” nel loro sé incarnato in fasi precedenti» . Proprio in tale capacità di essere se stessi ed essere altri al contempo è la forza che sorregge anche questa nuova fatica dei Pooh.

Rock e fusion, musica leggera e progressive, con punte persino di metal scandinavo, si incontrano con disinvoltura nei vari brani, così come nel pezzo di lancio Isabel: azzardi melodivi alla Stevie Wonder si intrecciano meravigliosamente come a imitare rispostine di fiati a una canzone che sembra non esserci, e invece si svela nella calma della digressione, che trasforma la sessione in un evento prog a tutti gli effetti.

Musicalmente rappresentativa di tutto l’album è quindi Isabel. Sul versante dei testi si svela invece una proliferazione di fantasia. Dall’amore e l’amicizia di Amica mia, al fantasy de L’aquila e il falco, giustamente accompagnata da punte di metal nordico. Dalla rivalsa personale di Questo sono io, alla tipica e innovativa esaltazione del mestiere del musicista in Musica. Dalle atmosfere oniriche di una nuova atlantide nelle tracce d’aperture Dove comincia il sole, a un tutt’altro che banale tema sociale di Fammi sognare, dove si respira un profumo di speranza vera nei versi: «Sogno che la gente attraversi il mare per la voglia di viaggiare, non per fame o per scappare via»; e nell’enjambement musicale e metrico che lascia da sola la parola “via” per un tipico acuto di Facchinetti, si dimostra la possenza iconica sonora dei Pooh.

Analisi Musical-Letteraria di Marco Di Pasquale

lunedì 4 luglio 2011

Il muro delle acque

«Riporta i ragazzi a casa»
Poi aggiunse:«Tengo io il posto».
Michi e la Lory erano diventati insopportabili: la piccola ogni dieci minuti chiedeva quando ce ne andiamo papi? e il grande doveva far la pipì (a casa aveva detto di no).
«Va’, riporta i ragazzi a casa».
Davide aveva messo su la solita maglietta demoniaca di gruppi che conosceva solo lui. La detestavo; lo aveva fatto apposta. Era una maglietta vecchia, ingrigita. Risaliva ai tempi dell’università, quando ci eravamo appena conosciuti. Facoltà di giurisprudenza, terzo piano, scala A. Davide era un tipo non bellissimo, ma aveva spalle grandi e chiappe alte. In più sapeva ammaliarti; sarebbe stato un grande avvocato. Poi successe quel che successe e al posto del Foro trovammo Michi.
All’inizio era tutto fantastico: lui iniziò a lavorare in un piccolo cinema e io facevo mezza giornata come segretaria. Quella maledetta maglietta la metteva spesso e, col tempo, come sempre succede, il tessuto iniziò ad allargarsi, perse il colore; persino il mostriciattolo sotto il logo sembrava più triste, rassegnato all’usura del tempo. Quante volte ero stata tentata di gettarla nella pattumiera quando vuotavo la lavatrice! ma non me l’avrebbe perdonata e sarebbero state liti infinite.
Davide aveva perso grinta, loquacità; si era completamente seduto sulla sua vita, sul lavoro al cinema e anche su di me. La cosa più frustrante di questo mondo è essere la moglie di un frustrato.
Anche per il concerto; l’idea era stata mia. Io avevo sentito che Waters veniva a Milano; io avevo comprato i biglietti con tanti mesi d’anticipo; io li avevo pagati, di tasca mia. Quattro posti in piedi, bimbi compresi. Pensavo sarebbe stata una cosa carina, anche per quel coro degli scolaretti in The Wall. Una cosa carina.
Lui non l’avrebbe mai fatto. Quando gli presentai l’idea commentò quel gruppo di frocetti?
Per Davide se la cassa non ti schiaffeggia e la chitarra non ti spacca le orecchie, non è mica musica.
«Mamma, pipì»
A me invece piacevano tanto. Ci avevo passato la giovinezza.
«Quando andiamo a casa papi?»
Ascoltarli era come dare parole a quello che sentivo della mia vita. Parole musicate.
«Riporta i ragazzi a casa»
E che musica! E che spettacolo!
Oh, li avrei riportati a casa. Avrei chiamato mamma e lei li avrebbe tenuti volentieri, per una sera. Ti puoi sempre fidare della mamma.

Risolta la pratica Michi/Lory avrei dovuto ributtarmi tra i diecimila fratelli-fan e ritrovare Davide. Preferii fermarmi in un bar, prima. Fare pipì, prendere una bottiglietta d’acqua.
Trovai un ristorante, ma sembrava chiuso. Solo che non c’era altro lì vicino, così provai ad entrare. La porta scivolò sui cardini senza alcun cigolio; c’era poca luce ed uno spazio vuoto e silenzioso. Da una porta laterale, a sinistra del ricco bancone, filtrava della luce.
«C’è qualcuno lì dentro?», chiesi. Non ci fu risposta, ma avvertii distintamente un colpo di tosse, o una voce che tentava di schiarirsi, e mi avvicinai.
«C’è qualcuno lì dentro?»
Sentii parlottare senza riuscire a comprendere le parole, poi qualcuno camminò nella mia direzione.
«Buonasera signora, mi dica»
«Salve, una mezza minerale non gasata, per piacere»
«Arriva», e sparì nuovamente dietro la porta. Mi avvicinai d’istinto, non so perché lo feci. Alla fine entrai.
Scoprii così una piccola sala, molto elegante, tutta bianca con i mobili e i tavolini neri. Ad uno di questi tavoli c’era un uomo. Sulle prime non lo riconobbi, poi la memoria automatica mi venne in soccorso. Pretty Woman! Era Richard Gere! Incartapecorito, ingrigito, ma sempre Richard Gere! Wow!
Non ci avrebbe creduto nessuno… Gere che beveva la sua acqua con relativa fettina di limone e riposava su una sedia minimalista, nella periferia di Milano.
No.
Aspetta…
«Excuse me, sir…»[1]
«Uh?!»
«Mr. Waters?»
«In the flesh!»
Tentennai. Poi lo abbracciai e dissi:«Thank you»
Sulle prime tremò d’imbarazzo. Poi mi abbracciò anche lui e, sorridendo, «Welcome, cherie»

Alla prossima.





[1] «Mi scusi, signore…»
«Uh?!»
«Il signor Waters?»
«In persona!»
«Grazie»
«Prego, cara»