giovedì 28 ottobre 2010

L’uguaglianza nell’individualità

Mi è stato più volte fatto notare come il racconto Utòpia presente nel libro Lavoro e altre piccole tragedie sia, per l’appunto, un’utopia. Mi è stato più volte fatto notare come questo mondo ideale lo sia solo all’apparenza, marchiando al contrario, di fatto, l’uomo come bestia da macello o, meglio, da lavoro; una unità di produzione. Mi è stato fatto notare l’appiattimento ch’è causa e conseguenza di questo ipotetico sistema. Mi si chiede, ancora, quale sarebbe l’appagamento, la gratificazione, di un lavoro non retribuito (per chi non lo avesse ancora letto: nel racconto si descrive una società senza denaro).
A tutti costoro rispondo «siamo dei codardi». Si badi bene: la prima persona plurale costringe anche chi scrive nell’insieme dei codardi, con ciò intendendo «esseri umani affetti da paura, reale o supposta essa sia».
A mio parere, così modesto e che peraltro condivido, la degenerazione continua e imperitura dell’animo umano è figlia diretta dell’azione del Potere, un cancro lento ma inesorabile che lavora per la Morte, non quella fisica, umana, reale, ma una ben più grave e trista: la Morte della Vita stessa. L’essere umano impaurito e codardo muore decine di anni prima che il suo cuore cessi di battere, muore colto da indifferenza e accidia, ancelle minori del grande mostro: la Noia. Il Potere usa la sua arma meglio riuscita, la Paura, per raggiungere lo scopo: la cessazione di tutti quegli elementi vitali che rendono la vita piacevole. Solo il Potere ha la forza adatta a distruggere l’opportunità della vita. Non la malattia, non la morte fisica; nulla può scalfire il possibile se non l’esercizio del Potere. E il gioco perverso messo in piedi dal potere si regge solo ed esclusivamente sullo sterco del demonio: il Denaro. Senza il denaro, sparisce la paura. Senza la proprietà, svanisce l’indifferenza. Questo è ciò di cui sono convinto e che invito a commentare. Ma prima…
Prima sono costretto a domandarmi: chi l’ha creato il denaro? Da dove arriva?
Quando la scimmia è scesa dall’alberello ha trovato un portafogli rigonfio?


Le origini dell’uomo.
No. Come tutti sappiamo, tra i 40.000 e i 10.000 anni fa, eravamo cacciatori-raccoglitori (di erbe selvatiche, non coltivate: quindi di nessuno e conseguentemente di tutti). Gli uomini erano organizzati in piccoli gruppi con ruoli ben precisi, ognuno faceva il suo e quindi aveva il suo. È da qui che veniamo.
Tutto ciò viene stravolto dall’

Avvento dell’agricoltura. Quindi della proprietà e della moneta.
Dal momento in cui l’uomo si ferma e scopre che è più facile coltivare la terra che girare e cercare da mangiare, si stabiliscono rapporti di padronanza e sudditanza. Io possiedo la terra, tu la lavori (il Dominium ex iure Quiritium di epoca regia rappresenta la prima regolamentazione del diritto romano in materia di proprietà). Aumentano le conoscenze, le distanze percorribili, e lo scambio tra le persone avviene tramite protomoneta: bestiame, beni, metalli preziosi. Il baratto pian piano non basta più (non posso scambiare uva con arance, si raccolgono in periodi diversi dell’anno) e fa la sua comparsa la moneta (lat. monere, ammonire – si veda l’Assedio di Brenno, 396 a.C.), intesa come entità di valore interscambiabile comunemente accettata dalle parti. Particolarità di questa “nuova ricchezza” è l’immagazzinabilità ad libitum. È questo che cambia il mondo, questo semplicissimo concetto: la frutta tende ad avariarsi, le monete no. Il mondo ha finalmente trovato il suo vero Dio.

Buona novella.
Qualcosa che il Papa ha dimenticato: quella setta del Giudaismo che pian piano prese il nome di Cristianesimo era, in origine, organizzata in comunità. Ciò significa assenza di proprietà e gruppi di persone che concorrono allo star bene.

Oggi.
Il luogo comune che vede la nostra piccola porzione di mondo occidentale come faro nell’universo e come unica possibile scelta si scontra con miriadi di esempi di società non basate sul denaro. Le comunità cristiane primitive, come detto. Gli indiani d’America, ad esempio. I Boscimani, i Pigmei, gli Inuit, gli Aborigeni. A tutt’oggi sono moltissimi e geograficamente distanti tra loro gli esempi di comunità che vivono senza denaro. Ma la risposta idiota e spaventata che le nostre menti daranno (il Sistema funziona) è… primitivi. Bene.
A Torino, nel maggio del 2009, si è tenuto per la prima volta il SenzaMoneta. Lo scambio come alternativa al consumo. Un semplice mercatino, dove al posto di comprare ci si scambia roba. Roba!
Alberto Salza ha recentemente pubblicato Niente. Come si vive quando manca tutto. Antropologia della povertà estrema (Sperling&Kupfer – 2009), in cui narra della vita di un miliardo e mezzo di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno. Questa strana e abusata espressione probabilmente va meglio spiegata per essere ben letta: si tratta di una media. Fuori dalla metafora ad effetto, questa frase significa che un miliardo e mezzo di persone NON ha quel dollaro, cioè il denaro. Eppure sono lì. Non sparisce quel miliardo e mezzo di persone. Come mangia, se non ha soldi, un miliardo e mezzo di individui?
In Italia c’è una comunità (zerorelativo
Nel recente documentario di Michael Moore Capitalism: a love story (2009) viene presentato un diverso tipo di società produttiva: la Isthmus Engineering and Manufacturing Co-op (http://www.isthmuseng.com/company/worker-owned-cooperative/). Vi invito a leggere il loro profilo industriale. Noterete strane espressioni quali the result of the very best efforts of our entire staff, oppure each member shares in the responsibility of managing the business e anche the success of our employee-owned company is contingent on the performance of every member of the Isthmus team. Sì, frasi riscontrabili su qualunque profilo compagnia, sul web. La grande differenza è che in questo caso è vero. La Isthmus è una Worker-Owned Cooperative del Wisconsin. Gradite una traduzione? Tutti i lavoratori sono proprietari dell’azienda. Ognuno vale uno (vi ricorda niente?). Un modo alternativo per tradurla è che, senza padroni, questa società ha un fatturato di 15 milioni di dollari in robot… Un altro modo ancora è che nessuno può auto-aumentarsi lo stipendio senza incontrare l’opposizione altrui. È impossibile il licenziamento se non c’è l’accordo di tutti i colleghi. Sul posto di lavoro si è veramente tutti uguali. In che modo, tutto ciò? Stando alle parole di un intervistato, «la gestione avviene in modo democratico: ciascun socio ha un voto e pari diritto di parola. Il-denaro-non-fa-parte-di-questa-formula».
Nel mondo moderno abbiamo anche un’abitudine, poco nota e a cui si dovrebbe dare più visibilità: il barter trading (http://it.wikipedia.org/wiki/Barter). Riassumendo, un’azienda offre un prodotto in cambio di un servizio (io produco bulloni e tu fai ponti: ti do dei bulloni se mi insegni come fare bene i bulloni per i ponti).
È questa la mia personale conclusione: sono convinto che «solo il combinarsi di intelligenza e lavoro collettivo ha permesso all'essere umano di uscire dallo stato di brutalità selvaggia che costituiva la sua origine naturale» (Mikhail Bakunin, La Comune di Parigi e l'idea di stato – 1871).

Lavoro collettivo. Lavoro scambiato. Barter trading all’ennesima potenza. Nel 2010. Sì, perché il Pleistocene si è concluso, appunto, 10.000 anni fa. L’essere Uomo ha perso qualche pelo, muore un po’ più tardi ed ha più necessità. Vuole di più, per il semplice motivo che è in grado di immaginarlo. E allora ben vengano le comodità, le nuove tecnologie. È indubbio che la tecnologia oggi rientri tra le necessità. Ciò che sfugge è il salto logico che va ad inserire in un sistema di lavoro il denaro, quando gli scambi possono essere più equi. Forse che un programmatore non ha bisogno di pane? Un ingegnere non si ammala? Un medico non si veste?
Il lavoro scambiato è l’unica opportunità di vero cambiamento. Nessun sistema (è stato ampiamente dimostrato dall’ultimo secolo che sistemi economici quali statalismo e liberismo sono fallimentari per la massa) può dedicarsi al popolo se i rapporti umani sono gestiti dal denaro. L’individuo ha bisogno di veder soddisfatte le sue necessità base perché tutti si sia, davvero, uguali. E l’uguaglianza è rintracciabile solo nella soddisfazione di tutti gli individui. Senza il denaro, avrò più naturale possibilità a svolgere il lavoro nel quale sono competente. Senza il denaro, decade l’orrore di un uomo che muore per fame. Senza il denaro, perde senso l’arrampicata sociale. Senza il denaro, perde potere il Potere.

Alla prossima.

 
 
 

domenica 24 ottobre 2010

Il terzo terzino – Senza titulo #2

Madrid.
È bello arrivare in finale. È bello avere una vetrina internazionale come questa. È bello sedere di fianco a tanti campioni. Però che palle! Stavolta ci avevo sperato. Beppe ha avuto un infortunio durante l'ultimo allenamento, e credevo proprio che toccasse a me. Sapete, quel leggero colpo di culo che determina una carriera. È successo a Francesco, ad Alessandro, e guarda dove sono arrivati. E invece…
Il mister annuncia la formazione, oggi pomeriggio, e per l’ennesima volta mi piazza al suo fianco, a riscaldargli le gambe (quando è qui vicino; lui che se ne sta sempre lì in piedi, a fischiare). E avesse almeno avuto il buon gusto di dirmelo chiaramente! È tutta la stagione che sono qui, lavoro bene, mi alleno tutti i giorni, do il massimo. E quando finalmente può buttarmi nella mischia, preferisce quel ragazzino. È inutile che racconti barzellette Julio! Stai in panchina pure tu! La prossima volta ci portiamo la PSP: le finali saranno pure emozionanti, ma che noia la panchina! Questi stanno chiusi a riccio e sarà un’ora che giriamo la palla: l’ala tocca per il centrale, il centrale smista a sinistra, il terzino (bastardo) ripassa al mediano. Mi fa male la testa. Non lo merito. Chissà, magari se fossi andato a Genova… piazza più piccola, più spazio per un calciatore medio ma blasonato a dovere. Ho ancora venticinque anni, dicono. Avrai le tue possibilità. Ma quello ne avrà sì e no sedici! Guardalo là! Credi davvero di poter saltare quel gigante?
Okay, l’hai saltato. E adesso come ti metti? C’è il mastro, lì in mezzo. Tre Coppe dei Campioni, un Mondiale e cinque Scudetti. Quello c’ha un’esperienza che
Okay, l’hai saltato pure lui. Ora puoi passare quella cazzo di palla? Ehi, questa serpentina deve avere fine! Dai che c’è Luca lì! Passa! Passala, Cristo!
GOAL!!!


lunedì 18 ottobre 2010

La solitudine dei numeri uni – Senza titulo #1


Si apre oggi una serie di raccontini che tratteranno i ruoli di vari calciatori. Questo sarà l’appuntamento del lunedì. Non ho un titolo per questa serie, quindi datemi una mano. Fate la vostra proposta e la migliore diventerà il titolo di ciò che, per ora, chiamerò Senza Titulo.

Che spettacolo!
Da qui li vedi: tutti e tutto. Si agitano, corrono, sudano. Hanno il diritto di sbagliare, loro. Un centrocampista perde palla, un difensore cicca un intervento… e sta a te risolvere i guai. Per non parlare delle punte! Ne mettessero dentro una!
Sì, eri quello con i piedi storti, è vero, ma non è invidia, la tua. Hai gli occhi puntati addosso nei momenti critici, e poi tutti si dimenticano di te. Puoi inanellare una decina di partite perfette e poi, alla prima che ti sfugge, tutti a darti addosso. Ma l’hanno mai preso in mano, gli altri, uno di questi nuovi palloni? Hanno visto come si carica d’effetto quando tira quel maledetto n.7? Tu sei lì, pronto, e quella stronza si gira all’ultimo secondo, lasciandoti solo la vibrazione dell’umiliazione. Tutti ti guardano, sei tu il colpevole. Ma chi si ricorda che l’unica Coppa di Lega è in bacheca grazie a quel rigore che hai rispedito al mittente? Rammentano quel cucchiaio che hai tolto dall’incrocio oppure no?
E dire che dovevi diventare professore. Per 10 anni studio, allenamento; allenamento, studio. Neanche il tempo di trovare una ragazza. Poi è arrivata l’offerta, un’offerta vantaggiosa, certo. Ma ora…
Che palle starsene soli!
Elena dev’essere tra il pubblico. Ti starà guardando. Sarà meglio mostrarsi concentrati. Avresti voglia di stare con lei, al posto che lì al freddo. Clap-clap! Bello l’intervento del difensore, bravo. Solo che così sono quasi venti minuti che non tocchi palla. Cosa dirà lo sponsor? E poi c’è quella ragazzina di Modena che
Oh cazzo… attento! Arrivano!

giovedì 14 ottobre 2010

Affinità e divergenza tra il Re e il giovane Talento

Ne vendono già abbastanza di libri, perché parlarne?


Stephen Edwin King e Niccolò Ammaniti sono sicuramente i miei scrittori preferiti, se la preferenza si conta in chili di pagine. Sono gli autori che ho letto di più. E perciò, credo, sono coloro di cui subisco più di tutti un’influenza. Al di là di questo, devo probabilmente a loro il mio amore per la lettura prima, e per la scrittura poi. Quindi, che i critici se la prendano in quel posto: io questi due li adoro. Anche sforzandomi – e Dio me n’é testimone: ci provo sempre! – non riesco a intravedere nulla di male se ‘sti pazzi riescono ogni volta a regalarmi qualche ora di piacere.

Senza noiosi passaggi biografici o inutili elenchi di opere, spiego il motivo di questo pezzo: ho sempre notato moltissimi punti d’incontro tra i due autori, ed una grandissima differenza. Li accomuna certo il linguaggio crudo, materialista; la struttura delle storie, con le continue strizzate d’occhio al montaggio cinematografico; il gusto per l’anticipare l’andamento delle vicende, riuscendo comunque a tenere incollato il lettore nell’annosa domanda come cacchio andrà a finire?; ma non è solo sul piano dello stile che propongo questa affinità.

Stephen King era definito dal Time Magazine «maestro della prosa post-alfabetizzata». Niccolò Ammaniti, su La Stampa, «l’ovvio dei popoli». Insomma, i critici (com’era quella storia di Lao Tsu? Ah sì: Chi sa fa, chi non sa insegna) questi due se li sono sempre magnati a colazione! Ed è divertente, perché letterati o no, ci sono milioni di persone che se li sono letti, se li leggono e se li leggeranno.

Altra affinità mica da poco è che devono la loro buona vita al cinema. I diritti di Carrie – Lo sguardo di Satana (Brian DePalma, 1976) permisero a King di dedicarsi in tutto e per tutto allo scrivere e di riempire le librerie di quasi settanta nuovi titoli nell’arco di 34 anni. Il fatto che Salvatores sia innamorato di Ammaniti (Io non ho paura, 2003; Come Dio comanda, 2008) ha permesso allo scrittore romano il salto al grande pubblico (c’è anche L’ultimo capodanno, film del 1998 di Marco Risi, che pur aggiungendo una giovane Bellucci completamente nuda all’ironica surrealtà del racconto di Ammaniti, non ebbe comunque notorietà).

Oggi King viene considerato all’unanimità il «Re del brivido». Il Times ha dichiarato Ammaniti «la nuova parola italiana per talento».

Il tempo farà il resto.

Ma la divergenza c’è, ed è di carattere poetico. Se in Buick 8 (2002) e Cell (2006) il Male non si sa bene da dove arrivi, in L’ultimo capodanno dell’umanità (1996) e Che la festa cominci (2009) è chiarissimo. Sembra che l’ironico cinismo che accomuna i due li separi invece nelle intenzioni non dichiarate: per King l’orrore arriva dal nulla, per nulla. Leggendo It (1986) il concetto è ancora più chiaro: il Male arriva dall’Universo sulla Terra nel momento della sua creazione. Non è colpa di nessuno: è preesistente all’uomo e i poveri cristi devono combatterci. In Cell l’intero pianeta cade nella follia più totale a causa di un segnale elettromagnetico che non si scoprirà, a romanzo finito, da dove provenga. Ammaniti è diverso: l’orrore sembra consustanziale all’uomo. Ne L’ultimo capodanno dell’umanità la follia devastatrice del condominio romano Le Isole (microcosmo che funge da sineddoche per il mondo intero) proviene dai condomini stessi: tutti sono partecipi, correi, direttamente colpevoli della fine del mondo. Il Male è nell’uomo, così come in Che la festa cominci: senza la pazzia di Sasà (l’organizzatore del party del secolo), il delirio delle belve di Abaddon e l’oppressione del regime sovietico, tutto quel casino non sarebbe successo.

Mi affascina questa differenza, perché è in tutto e per tutto simile alla domanda che ognuno di noi si fa quotidianamente: ma perché si sta male? La colpa è “degli altri” (il Sistema? il denaro? Dio? il Demonio?) o è insita in noi?

Queste, finora, mi sembrano le posizioni dei due autori. Sto leggendo The Dome (2009). Vediamo se stavolta King mi svela il maggiord… ehm, il colpevole.

Alla prossima.

lunedì 11 ottobre 2010

AI PROFESSORI UNIVERSITARI, TUTTI

AI PROFESSORI UNIVERSITARI, TUTTI
(perché coloro che sanno sono già colpevoli)

Farabutti spocchiosi snob e ignoranti
virgole della vita, errori del sistema
porci sporchi e mangioni che ranciate gli atenei
senza rispetto, zuppi di sospetto
che affarate come il bimbo che è tutto suo
e chiamate Sapienza il vostro truculento analfabetismo
nascosto bene dietro le cattedre di canoni religiosi
e mandate alla malora la ricerca scientifica italiana
che i papponi tagliano con bontà
e ciò che divide la gente è populismo e verità,
morti di fame pieni di soldi
con il buco in poltrona per farvi penetrare
e, quel che più mi fa ribrezzo, stanchi

vi presento oggi la mia migliore amica: Storia

dice che vi aspetta nelle gogne della vergogna
per pisciarvi in faccia tra le risate dei posteri.

venerdì 1 ottobre 2010

5 Sensi d'autore

Marco Di Pasquale e Federico Zazzara presenteranno Lavoro e altre piccole tragedie a Roma, alle 21.00, sabato 9 ottobre 2010, in occasione delle serata organizzata da 5 Sensi d'autore (http://www.5sensidautore.it/eventi.php)