giovedì 1 dicembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO : ripensamenti, nuovi ascolti e novità.

Ecco di nuovo la classifica per intero dopo ripensamenti, nuovi ascolti e novità. A parte alcuni spostamenti anche di molte posizioni a seguito di un riascolto totale, ho conosciuto alcuni album importanti come i due di Ry Cooder, uno del cantante francese M, un altro album ancor più bello di Sakamoto. Ho rivalutato "Canzoni per adulti" di Marco Ongaro. Non molti album significativi sono usciti mentre compilavo la classifica, e degno ho reputato solo la stravaganza di Lou Reed e i Metallica, comunque con un debole novantaseiesimo posto. Tali operazioni hanno logicamente escluso altri che in classifica c'erano.
1. Six degrees of inner turbulence, Dream Theater
2. Mezmerize, System Of A Down
3. Studentessi, Elio E Le Storie Tese
4. The information, Beck
5. Up, Peter Gabriel
6. Dig Lazarus!!! Dig!!!, Nick Cave
7. Luna persa, Max Manfredi
8. Gilfema, Lionel Loueke
9. Magic, Bruce Springsteen
10. The raven, Lou Reed
11. The getty address, Dirty Projectors
12. On an island, David Gilmour
13. Cositas buenas, Paco De Lucia
14. Toxicity, System Of A Down
15. You could have it so much better, Franz Ferdinand
16. I speak because I can, Laura Marling
17. Songs for the deaf, Queens Of The Stone Age
18. The way up, Pat Metheny
19. Everything that happens will happen today, Brian Eno & David Byrne
20. Aerials, Kate Bush
21. Happy with what you have to be happy with, King Crimson
22. The final frontier, Iron Maiden
23. Fantasies & Delusions, Billy Joel
24. Cicciput, Elio E Le Storie Tese
25. Down the road, Van Morrison
26. Brainwashed, George Harrison
27. Dieci stratagemmi, Franco Battiato
28. If on a winter’s night, Sting
29. Lateralus, Tool
30. Chimera, Andromeda
31. Hail to the thief, Radiohead
32. Hypnotize, System Of A Down
33. L’intagliatore di santi, Max Manfredi
34. Alas, I cannot swim, Laura Marling
35. My Ummah, Sami Yusuf
36. Le dimensioni del mio caos, Caparezza
37. Kid A, Radiohead
38. Songs and stories, George Benson
39. Selma songs, Bjork
40. Mwaliko, Lionel Loueke
41. Ëmëhntëhtt-Rê, Magma
42. St. Anger, Metallica
43. Heathen Chemistry, Oasis
44. The ultimate adventure, Chick Corea
45. Mister Mystere, M
46. Guero, Beck
47. Chavez Ravine, Ry Cooder
48. Avantasia – The metal Opera, Tobias Sammet & Co.
49. Reveal, R.E.M.
50. Rouge sang, Renaud
51. 21st century breakdown, Green Day
52. Oyo, Angelique Kidjo
53. Train of thought, Dream Theater
54. Ecstasy, Lou Reed
55. Fuad, Erkan Ogur & Djivan Gasparyan
56. Karibu, Lionel Loueke
57. Accelerate, R.E.M.
58. Sambolera, Khadja Nin
59. Nelson, Paolo Conte
60. Chaos and creation in the backyard, Paul McCartney
61. I=II, Andromeda
62. Steal this album, System Of A Down
63. Canzoni per adulti, Marco Ongaro
64. Standing on the shoulder of giants, Oasis
65. Just push play, Aerosmith
66. Resistenza e amore, Alessio Lega
67. Focus 9/New skin, Focus
68. Il sogno eretico, Caparezza
69. Dio è altrove, Marco Ongaro
70. Devils & Dust, Bruce Springsteen
71. The power to believe, King Crimson
72. Is there love in space?, Joe Satriani
73. Mambo sinuendo, Ry Cooder & Manuel Galbàn
74. Black clouds & silver linings, Dream Theater
75. Stagioni, Francesco Guccini
76. Le roi des ombres, M
77. Gorillaz, Gorillaz
78. By the way, Red Hot Chili Peppers
79. Cantora 2, Mercedes Sosa
80. Liberté, Cheb Khaled
81. Elettra, Carmen Consoli
82. Working on a dream, Bruce Springsteen
83. Rohmer, Rohmer
84. L’aldiquà, Samuele Bersani
85. A night at the opera, Blind Guardian
86. Capital, Lyapis Trubetskoy
87. Brave new world, Iron Maiden
88. Snakes & arrows, Rush
89. Chasm, Ryuichi Sakamoto
90. All that I am, Santana
91. Dante XXI, Sepultura
92. Real illusions: reflections, Steve Vai
93. Have a nice day, Bon Jovi
94. The Marshall Mathers LP, Eminem
95. Out of noise, Ryuichi Sakamoto
96. Lulu, Metallica & Lou Reed
97. Natural timbre, Steve Howe
98. Endless wire, Who
99. Magnification, Yes
100. Greendale, Neil Young

venerdì 25 novembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 1: SIX DEGREES OF INNER TURBULENCE, Dream Theater

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 1
SIX DEGREES OF INNER TURBULENCE, Dream Theater
Il più grande album del ventunesimo secolo, finora, è Six degrees of inner turbulence (d’ora in poi Six…) dei Dream Theater.
Per chi volesse conoscere le tematiche puramente verbali, può consultare le pagine esaurienti i wikipedia a riguardo, anche se una più approfondita analisi linguistica associata alla musica porterebbe forse alla specificazione di alcuni temi. Ciò che interessa però qui è l’astrazione timbrica e materiale della grande opera, che si presenta come raccolta di 6 piéce musicali differenti tra loro, atte ognuna a completare un livello musicale comunicativo diverso, e quindi collegate tra di loro proprio per il loro intento di completezza programmatica. La sequenza dei brani quindi pare non obbligatoria, per quanto, data la lunghezza della piéce Six…, il supporto materiale del cd obbliga a scindere in due dischi, uno con 5 canzoni di lunghezza media per il progressive, e la sessione di 42 minuti dall’altra parte. Quasi due album quindi: uno strettamente collegato al suo interno e l’altro apparentemente no; ed ecco che l’ipotesi iniziale comincia a vacillare, perché nell’intento di usare le possibilità compositive, rientra anche la distinzione tra concept e non-concept, con la possibilità per quest’ultimo di essere “canzoniere” o “raccolta”. Spiego meglio: “canzoniere” è una serie di microtesti che non hanno per forza una certa sequenza, ma che in quella sequenza data dall’autore, hanno uno dei significati possibili ricostruibili attraverso le varie sequenze, come in Petrarca, o come nella maggior parte degli album rock di buona fattura; “raccolta” è solo una cernita, se vogliamo, casuale, come nei greatest hits, come in molti album jazz anche di buon fattura, in cui non ha alcun valore quella sequenza scelta se non un generico accostamento di tempi diversi. E forse ora si sarà intuito di che capolavoro stiamo parlando, perché già solo nella sistemazione della musica i Dream Theater qui sfruttano tutte le possibilità finora concepite nella popular music (e forse nella musica in generale): l’interezza dell’album è una raccolta, divisa per ragioni materiali in due parti, di cui la prima è canzoniere e la seconda concept album.
L’operazione di completezza viene anche estesa quindi alla concezione musicale, in una realizzazione che non ha nulla di didascalico, anzi fonda sulla trovata musicale e sul virtuosismo tecnico la realizzazione pratica. The glass prison comincia l’album, e parte dal metal e dal progressive, immediatamente riconoscibili per suoni (per il metal campane a morte, forti distorsioni, addirittura il growl) e struttura (prima che parta il testo si passa attraverso varie parti strumentali diverse), fino a creare un riff fenomenale nella commistione tra i due generi, perché presenta forza e orecchiabilità metal, ma una nota almeno è molto prog, e soprattutto l’iterazione per tre volte prima di concludere lo scansa sa quell’orecchiabillità. Insomma se qualcuno volesse chiedere che cos’è il prog-metal potrebbe indicare The glass prison senza problemi. Da loro stessi partono quindi i Dream Theater, dandosi un marchio che non perderanno all’interno della raccolta, ma soprattutto non perderanno all’interno del canzoniere. Andando veloce sulle altre: quanta grazia jazz si riscontra in quella specie di bridge che ha Misunderstood!, canzone che sembra sempre affannata nelle prosecuzione di altre parti, come è affannosa la comprensione, e come è affannoso e incomprensibile per un ascoltatore la commistione di jazz e prog. E quanto bipolari sono Blind faith e Disappear nel loro contrastarsi tra rock e lento, comunque vicine a una noia morettiana (il poeta, non il regista)! Mentre la lussuosa The great debate si dilunga come canzone impegnata, quasi d’autore, ma che fa trasparire l’atra faccia dell’impegno che è lo sperimentalismo sonoro in assoli francamente fastidiosi per il suono, come se il dibattito sulle cellule staminali di cui parla la canzone fosse solo una scusa per dibattere, e infatti non se ne giunge a una soluzione, mentre il vero dibattito è tra avanguardia e nazional-popolare, tra canzone di protesta e sperimentalismo.
Poi dall’altra parte c’è l’opera: il secondo disco è una vera e propria suite di musica colta, con tanto di Overture e Gran Finale, con sviluppi e riprese musicali, calcoli matematici perfetti, oppio dei musicologi, orgasmo delle orecchie. Questo è il momento più alto della musica nel nostro secolo, e lo rimarrà per sempre del primo decennio di esso. Impossibile privilegiare un momento piuttosto che un altro: dopo l’overture in cui vengono preannunciati tutti i temi musicali in una sintesi spettacolare che farà capire al secondo ascolto di come siano compatte quelle varie parti così apparentemente diverse, About to crash ci fa partire subito, War nside my head ci coccola di paranoie e ci fa sfogare The test that stumped them all, mentre poi ci inteneriamo con Goodnight kiss, Solitary shell ci illude di speranza condita con solitudine cronica, speranza che About to crash (reprise) continua ad alimentare, mentre Losing time / Grand Finale non ci risolve niente verbalmente, come vuole opera aperta, ma mette un punto musicalmente, come vuole opera chiusa.
Per la spiegazione dei vari gradi di follia di cui parlano i testi rimando appunto a wikipedia o meglio ai testi stessi, e dopo quest’operazione potrete confrontare di nuovo la resa semiotica delle musiche, e troverete ogni cosa al suo posto, come in Goodnight kiss, dove la tenerezza viene continuamente contrastata dall’angoscia della realtà, sia nelle parti cantate, che nel formidabile assolo, probabilmente il migliore d Petrucci.

Spero siano state esaurienti le motivazioni delle mie scelte, anche se ciò che dovrebbe più convincere è l’ascolto incondizionato dell’album. Sui primi tre mi sono dilungato perché la profondità e l’innovazione che hanno portato questi artisti nei primi anni di questo millennio sono importanti e soprattutto godibili. Ripeto che fino alla posizione n. 24 sono tutti potenziali numeri uno se si studiano a fondo, mentre i successivi non hanno la stoffa del podio. Oltre alle vecchie guardie si sono trovate nuove leve che quindi possono entrare nella storia della musica, non solo popular music: i System Of A Down e i Dream Theater si contendono il posto per il miglior gruppo del decennio passato, e io propendo per i primi; lungi da me il nazionalismo, ma grazie a Max Manfredi ed Elio E Le Storie Tese l’Italia può vantare grandi artisti nella popularmusic, come non accadeva dalla fine ’60 inizio ’70, quando progressive e canzone d’autore erano il nostro vanto, e ora la storia si ripete anche se evoluta in componenti francamente imprevedibili; Nick Cave forse non si può proprio etichettare come novità, quindi Laura Marling è sicuramente la scoperta cantautoriale anglofona, mentre Beck è una scoperta che non si chiude in un solo genere musicale; Lionel Loueke è la svolta africana del jazz; i Dirty Projectors sono i nuovi sperimentatori; e per finire, nel rock mainstream i Franz Ferdinand e i Queens Of The Stone Age sono le più fresche novità.

E spero vi sia piaciuto. A presto.

lunedì 21 novembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 2: MEZMERIZE, System Of A Down

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 2
MEZMERIZE, System Of A Down
Ecco la grande opera che rimane nella storia come marcatura dei tempi, testo inserito nelle dialettiche più varie, da quella sociologica e quindi fortemente storica, a quella artistica, che comprende in sé quindi l’aspetto prettamente musicale ma anche quello verbale e poetico, e infine semiotico. Quindi non opera a sé stante come segno dei tempi di cui non parla (ciò che accadrà al primo in questa classifica), ma conseguenza di tali fonti storiche, prodotto di una società analizzata da persona più sensibile, Pirandello e non Joyce, per quanto entrambi non possano che esistere nella loro epoca, perché Joyce sarebbe lo stesso Joyce con un altro linguaggio in un altro tempo, mentre Pirandello, e quindi i System Of A Down (d’ora in poi SOAD), sarebbe un “altro” in un altro tempo, fine analista sempre, ma con altri significati reconditi, che scaturiscono dalla società appena analizzata. È per questo che qui si predilige il misterioso n. 1 a Mezmerize, come si predilige Joyce a Pirandello; chi capovolge la classifica di quei due in base ai propri gusti o ad altri ragionamenti, capovolgerà qui il primo e il secondo posto.
Analizzare in maniera cruda la società, togliendo la maschera dell’ipocrisia: ne verrà fuori oggi la musica schizzata dei SOAD, nonostante dotti passatisti ci vorrebbero far credere che un quartetto d’archi sia l’unica penna possibile. «Benvenuti dalla parte del soldato» annuncia l’incipit, e si è tentati a concepire l’opera come descrizione bellica. Si sbaglia: BYOB certo ha lanciato l’inno «Perché mandano sempre i poveri?», col suo doppio «Perché i presidenti non combattono in guerra?», e sulla contraddizione descrittiva della guerra con il party borghese, raggiunge il suo apice semiotico. Ma proprio questo è il punto di partenza: la festa è possibile perché da qualche altra parte c’è la guerra, ed è ancor più goduta la prima da chi non si presenta alla seconda: «dove cazzo siete?» urla il povero a chi gli aveva detto «armiamoci e partite». A ciò si aggiunga il titolo B(ring)Y(our)O(wn)B(ombs), cioè «evitate di farci sprecare anche i soldi». Si capisce come questa ipocrisia non genera solo il soldato tout court, ma una massa che lotta in una guerra quotidiana non fatto solo di bombe. E tutto l’album è una rincorsa mozzafiato per scappare da motivi psicologici e motivi sociali, dalla vendetta di Revenga alla spettacolare Radio Video. I concetti che qui si vorrebbero esprimere per spiegare il sostrato socio-psicologico (che nulla, ma proprio nulla ha di ideologico) è riassunto in un magistrale libro che purtroppo non sarà mai datato, Le guerre mondiali di Mosse, storico sopraffino che descrive in quest’opera la condizione culturale che è stata imposta all’Europa di fine ‘800 per portarla a sviluppare i concetti di nazionalismo, di eroismo, di rivalsa, di vendetta nei confronti dello straniero. Quindi una tesi molto contraria a quel discutibile libello di Einstein e Freud Perché la guerra?, in cui i due studiosi rintracciano nell’animo umano la propensione a far guerra partendo dell’istinto della lotta; secondo il mio modesto parere, quei due grandi studiosi avrebbero fatto meglio a concentrarsi sui loro rispettivi campi di ricerca, piuttosto che sfociare nell’antropologia storica spicciola. Questo è quindi il basso continuo di Mezmerize, e da qui si può facilmente capire una canzone come Cigaro, in cui si fa a gara a che ce l’ha più grosso, come si fa a gara a chi ha la bomba atomica più grossa, in un gioco fanciullesco che coinvolge però tutta l’umanità.
Per concludere mi piacerebbe poter spiegare semplicemente perché Violent pornography è la più bella canzone del nuovo millennio, finora. Pensiamo al titolo: quale potrebbe essere un contrario? “Pacifico amore”, se non mi si obbliga a usare la parola “castità”. È quindi l’assunzione massima del male: non che la pornografia in quanto tale sia il male, che sarebbe fuori luogo e magari neanche vero secondo i SOAD; ma è male quel concetto di pornografia che spiega Umbero Eco, come assenza totale di una profondità filosofica, di una storia dilettosa, di qualcosa da dire. Che cos’è il male in un film porno? Il sesso? Forse no, forse c’è qualcos’altro: la trama, o meglio l’inesistenza della trama, la non-trama che dovrebbe giustifica gli atti sessuali che non hanno bisogno di spiegazione. Quando ciò diventa violento accade l’irreparabile: il nulla che comanda, l’inesistenza di una trama reale che giustifichi il male assurdo del mondo. Come dare forma a questo concetto? Tramite quattro parti musicali, divise in due punti di vista che fondano il proprio essere sul suono violento se il punto di vista è quello del pornografo, o sulla melodia se il punto di vista è quello della vittima; parti che fondano sul contrasto tra rumore ingombrante anche e soprattutto delle parole («everybody…fuck») VS la trovata melodica («it’s a violent…TV») tra l’altro stupenda. L’ambiguità del testo verbale, inoltre, è specificata nel ritornello con il paragone della pornografia alla televisione, cioè il vuoto che comanda. Tramite quest’espediente ci si ricollega quindi allo schifo che si vede in TV, ed è qui che il circolo pirandelliano si conclude in un’osmosi spettacolare tra microtesto (la canzone) e macrotesto (l’album). Ripercorriamolo al contrario: la TV è uno schifo e comanda → la tv è pornografia violenta → la pornografia se è violenta è il nulla che comanda → il nulla comanda cose folli → uno dei comandi folli è la guerra. «Can you say brainwashing?» dice la vittima quasi agonizzante: «riesci a dire, riesci a pronunciare l’espressione “lavaggio del cercello”?» E allora che aspetti a farlo?

domenica 20 novembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 3: STUDENTESSI, Elio E Le Storie Tese

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 3
STUDENTESSI, Elio E Le Storie Tese
Basterebbe enunciare i quattro sensi di Gargaroz. Il letterale: la storia del bambino compiaciuto dalla paura che sente in un inglesizzato gargarozzo, poi dispiaciuto di aver perso la facoltà dello spavento per l’operazione alle tonsille, quindi per essere cresciuto; il protagonista scopre poi che le sue tonsille alimentano un traffico di organi. Allegorico: la metafora che si nasconde dietro la storia è quella della crescita, per cui le cose ci fanno meno paura, forse anche perché ne capiamo la fattura, o l’imbecillità. Morale...musicale: la storia raccontata è influenzata da un ritornello incombente che deve tornare sempre nello stesso punto; ciò provoca la fretta della terza strofa che deve tornare a quel punto culminante, influenzando tutto il resto della vicenda: Anagogico: la canzone si inserisce in una grande tematica di questi anni in cui rientra ad esempio anche il romanzo di Umberto Eco Il cimitero di Praga, cioè la dietrologia imperante in ogni angolo dello scibile umano, la faccia oscura di internet, che può dare voce ai complotti più assurdi dimostrati con prove che la stessa fonte magicamente fornisce, trascinando l’individuo in un turbine di cazzate che lo distoglie dai veri problemi della vita e lo farcisce di paranoie inutili. Per rafforzare quest’ultimo senso i geniali Elio E Le Store Tese hanno aperto un sito, www.tonsilletolte.com , dove immettendo alcuni parametri, si possono ritrovare le proprie tonsille tolte.
Cos’altro serve per rendere grande un album? Ho avuto l’onore di redigere la motivazione di un premio per EELST, il Premio Lunezia Progressive 2008 per Studentessi:
L’album Studentessi di Elio e le storie tese rappresenta un classico esempio di come la struttura organizzativa di un’opera musicale influisca sui singoli brani, che, già compiuti nel loro microtesto, danno e ricevono senso dal macrotesto: per il Premio Lunezia questo progetto d’insieme, unito all’uso particolare della semantica delle parole e della connotazione musicale, fanno dell’album un chiaro esempio di come l’arte Musical-Letteraria possa essere applicata per un genere come il progressive.
“Concept album” quindi, non fosse che per il carattere tipicamente parodico che ne sgretola le principali concezioni a livello strutturale; parodia non esclusivamente ironica, ma anche pastiche che riutilizza le forme a più livelli: insomma un album postmoderno.
Entrambe le forme della parodia si riscontrano sia nelle due lunghe sessioni dell’album, sia nelle sessioni brevi di stampo progressive che si concludono in una traccia. Effetto memoria, costituita da quattro parti disseminate nell’album, attua la parodia postmoderna, che si rivela nella seconda parte, la quale denuncia, prima che lo faccia l’ascoltatore, una dimenticanza della prima parte, da cui sono passate già varie canzoni: «ti ricordi cosa ho detto / nella strofa precedente?» Suicidio a sorpresa è invece costruita per un intento più comico, con le sue cinque parti poste una dopo l’altra, che raccontano di gruppi death e black metal, e dei loro «innocui» messaggi subliminali.
Se ci deve essere corrispondenza tra musica e parole, ecco che Elio e le storie tese rappresentano coloro che più di chiunque altro riescono a far stridere in maniera sfolgorante i due elementi, e da questo stridore sprigionano una verve comica, che dietro di sé possiede l’essenza della loro arte. Ciò avviene nelle due lunghe sessioni citate, ma anche nella canzone che apre l’album, Plafone: la rocambolesca melodia cantata da Antonella Ruggiero ed Elio contrasta con il discorso eccessivamente banale, che tratta docce mal funzionanti e macchie sul plafone. Mentre il vero capolavoro sul gioco della struttura parodiata è Gargaroz. Oltre al discorso medico-sociale sulle tonsille, questo brano mostra come la costrizione del ritornello, che dopo ogni strofa torna inesorabilmente a martellare l’ascoltatore (e l’insensatezza di ciò è l’insensatezza della parola “gargarozzo” inglesizzata “gargaroz”), limiti la libertà artistica. La costrizione porta il testo della terza strofa a tagliare corto con il discorso su Belfagor, poiché tra un po’ arriverà quella parola, e senza un reale motivo il testo dovrà cambiare: «comunque quell’anno mi han tolto le tonsille dal / gargaroz». Arrivati a questo argomento, trovato a caso nella fretta di raccordarsi al ritornello, non si può far altro che parlarne, continuare a parlarne per versi e versi, approfondendo il discorso, e cercando anche di spostarsi su un piano di seriosità.
La famosa Parco Sempione testimonia, infine, come questi autori, che sembrano, agli occhi di un pubblico e una critica non attenti, chiusi nel loro mondo parodico, siano sempre impegnati nel sociale: «Se ne sono fottuti il cazzo/ ora tirano su il palazzo/ han distrutto il bosco di gioia/ questi grandissimi figli di troia», non risparmiano la loro giusta cattiveria da satiri della più autentica scuola di Giovenale, verso i costruttori senza scrupoli di una Milano invivibile.

E per chi volesse ancora approfondire c’è anche un mio articolo sul sito di Ipercritica:
http://www.ipercritica.com/2009/10/parodia-e-stridore-tra-forma-e-contenuto/

giovedì 17 novembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 4: THE INFORMATION, Beck

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 4
THE INFORMATION, Beck
Genio contemporaneo è Beck, che non si può certo racchiudere in un solo genere. Anche per questo artista un’analisi dettagliata richiederebbe una conoscenza profonda che non ho. Lascio quindi al podio una giustificazione più lunga e precisa. Godetevi nel frattempo Nausea.

domenica 6 novembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 5: UP, Peter Gabriel

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 5
UP, Peter Gabriel
La carriera di Peter Gabriel ha avuto un relativo calo negli anni ’90, e nel nuovo millennio ha ripreso slancio grazie ai mirabolanti tour e a quest’album che può vantare tra le sue migliori composizioni. Forza sommessa, straoirdinaria calma, vulcano spento ma minaccioso: è così la musica dell’ex Genesis, protagonista irrefrenabile di sperimentazione, impegnato socialmente, in continuo bilico tra avanguardismo e nazional-popolare. Innovatore anche nel campo dei videoclip, è da vedere da quest’album The Barry Williams show, in cui un programma televisivo “da pomeriggio” (diremmo in Italia) diventa un vero e proprio lago di sangue. Growing up e I grieve sono tra le canzoni più belle del ventunesimo secolo nella loro illusoria orecchiabilità. Insomma è l’opera imprescindibile per tutti i cosiddetti “nuovi” che compaiono in questa classifica: infatti è l’old-star più in vetta, se si designa come “nuovi” quegli artisti che negli anni ’70 non erano ancora in giro.

venerdì 4 novembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 6: DIG LAZARUS!!! DIG!!!, Nick Cave

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 6
DIG LAZARUS!!! DIG!!!, Nick Cave
Straordinario genio Nick Cave: la sua originalità travalica i confini di genere e si staglia nella realizzazione di micro-opere segretamente composte a creare una magna opera. Scandagliarne i segreti è operazione ben complessa che richiede uno studio decennale. Se ne consiglia quindi il puro godimento nell’ascolto di tutto l’album, con particolare riguardo a pezzi come Albert goes west, We call upon the author e soprattutto More news from nowhere.

lunedì 31 ottobre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 7: LUNA PERSA, Max Manfredi

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 7
LUNA PERSA, Max Manfredi
Luna persa è una rinuncia al consueto e innesca la scommessa del valore in Italia e nel mondo. Impossibile tradurre, impossibile parafrasare, impossibile spiegare in poche parole (son quelle che mi impongo senza motivo in effetti) l’architettura di un tale disegno che si regge in piedi in ogni stanza senza poter capire come sia possibile ritrovarsi dal tinello al salone senza dischiudere una porta. Tutto perfetto: musica, struttura dell’album e non parliamo dei testi; d’ora in poi la classifica diventa opinione strettamente personale, perché chiunque potrebbe sostenere che questo, così come ognuno dei possimi, è l’album più bello del nuovo millennio. Per chi non conoscesse Max Manfredi...ecco, l’album è così ben equilibrato che c’è anche una canzone, La fiera della Maddalena, per chi non conoscesse Max Manfredi, un pezzo fatto con De André. Per chi lo conosce può evitare di ascoltarla (e infatti è catalogata solo come bonus track), perché non c’entra niente con questo percorso spirituale che ci trasporta con sapienza filologica dal carillon di Au clair de la lune a L’ora del dilettante, manifesto sonoro di una generazione italiana che sta per arrivare come un temporale («le tendine e le vele sbattevano sotto il maestrale») con l’arroganza di chi sa parlare meglio di «una giuria fatta...da gente tutta d’un pezzo» che non sa distinguere «il valore dal prezzo». Il regno delle fate è l’opposizione ideologica subito pronta a chi stava già per dire stoltamente che è facile criticare senza proporre. Sulla stessa dicotomia Terralba tango e Retsina: dopo le tossine abbandonate si trova un posto dove ci si può finalmente fermare. È come un arrivo Retsina: da qui si torna pian piano nello schifo, che subito si vuol cercare di mondare con Libeccio, a mio parere tra le cinque canzoni più bello secolo, ed è meglio tacerne l’analisi perché il dilungamento è già dilagato. L’enigma comincia ad affacciarsi con Quasi, che io interpreto in un inquadramento hollywoodiano, o meglio bollywoodiano, con uno scarto tra finzione e quello che si crede realtà. Più difficile Zimbalon (d’altronde anche la musica si complica mischiandosi a un 5/4) e Aprile, dietro la cui semplicità si può nascondere l’orribile mostro del malizioso, o peggio della pedofilia, soprattutto se la si collega alla crudeltà della canzone successiva: altro capolavoro, Il morale delle truppe è l’ultimo inno del pacifista, che ormai disarmato di fronte ai guerrafondai, non può far altro che dargli voce e musica, alla berlina, l’unica che può fare un disarmato. Il treno per Kukuwok è il pezzo meno forte dell’album, forse per l’eccessiva esplicitazione, anche se molto ironica, di un mancato Eden esotico, che ci possa esiliare da noi stessi. Ma Luna persa è il degno finale di un’opera mastodontica: progressive e canzone d’autore si incontrano magnificamente e disegnano un quadro spettacolare, un affresco sonoro e verbale di continua corrispondenza, che getta luce sul resto dell’album, una luce di luna persa, cioè rossa, ma anche perduta, e perduta proprio come è perduta la parola “persa” per indicare il colore, anche se basterebbe questo, cioè il semplice ascolto, per non diventare un ignorante guerrafondaio, un vizioso forse pedofilo, un vampiro che succhia alcool, uno scaricatore di porto che getta tossine nel mare facendo di finta di non vedere, o peggio di tutto: un giovane promettente. Se ti pulisci col vento del fado gli stivali italiani prima di entrare, potrai fermarti qui, nel regno delle fate.

domenica 30 ottobre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 8: GILFEMA, Lionel Loueke

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 8
GILFEMA, Lionel Loueke
Grande jazzista, Lionel Loueke fa con quest’album ciò a cui è più abituato a fare, cioè mischiare il jazz alle sonorità africane, superando per bellezza altri suoi album del nuovo millennio, come Mwaliko (qui al n. 38) e Karibu (qui al n. 56). Dopo aver varcato le colonne d’Ercole della musica, quello che può fare il jazz è varcare i confini dell’Occidente, ed è più naturale che l’operazione riesca meglio al contrario, ovvero è più facile per chi ha già dentro altri concetti musicali innestare su questi le tecniche jazz. La musica di Lionel Loueke è da ascoltare e riascoltare, perché ha quello strano potere di non stufare mai.

venerdì 28 ottobre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 9: MAGIC, Bruce Springsteen

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 9
MAGIC, Bruce Springsteen
Si dice sempre che il meglio di certi artisti risiede negli album d’esordio, nella freschezza delle prime composizioni. E invece questo è il miglior album della storia di Bruce Springsteen: certo Born to run era un altro grande lavoro, così i primi album; poi gli anni ’80 l’avevano gettato in un ambiguo balletto tra il commercio e il nazionalismo (che ha sempre negato, ma anche i leghisti negano di essere razzisti); una bella pietra sui suoi anni ’90 che non meritano neanche di essere commentati; il nuovo millennio del borghese è stato poi travolto dalla caducità della vita e lo ha reso compassionevole, anche se non sono da dimenticare totalmente quel The rising, e sopratutto quel Devils & Dust (qui al n.78). Tolti i fronzoli dell’adolescente, del patriota e del borghese impaurito, resta per fortuna solo la maturità di un musicista che sa scrivere melodie, e che ha al fianco dei musicisti che hanno passato una vita a studiare il modo di far progredire la storia della musica pur rimanendo nella rigida gabbia di un arrangiamento rock da classifica. Così Magic sembra essere veramente qualcosa di magico: Radio nowhere apre le giostre con la stessa arroganza che aveva Whole lotta love nell’aprire Led Zeppelin II; quando si scorre l’album e si ascoltano You’ll be comin’ down e Livin’ in the future ci si chiede come mai la noia di ascoltare sempre la stessa timbrica non appaia; e altri ottimi pezzi come Girls in Their Summer Clothes, Long walk home e Magic non fanno pentire la fiducia data a un cantautore che ormai molti davano per morto vivente, e non si accorgevano di come stesse per nascere; e il capolavoro si chiama Your own worst enemy, enigmatica nel testo e nella musica, si rimane sospesi all’ascolto di tanta genuina bellezza nel terzo millennio.

giovedì 27 ottobre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 10: THE RAVEN, Lou Reed

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 10
THE RAVEN, Lou Reed
Nel ventunesimo secolo è ancora possibile fare degli ottimi concept album nel senso classico del termine, con una storia, legata in questo caso a un libro, con una coerenza formale e degli ottimi pezzi. Si può sicuramente dire che questo sia l’album migliore di Lou Reed dopo Transformer, grazie non solo alla sua architettura (superiore anzi al classico degli anni ’70), ma anche per la buona fattura di pezzi che stanno bene anche isolati dall’album, come la fantastica Who am I, semplice ma non banale Canzone, che cerca ancora di giocare sulle microstrutture del rock per far confondere l’ascoltatore tra strofe ponti e ritornelli, una capacità che appartiene solo agli artisti degli anni ’60 che su questo hanno fatto scuola prima di giungere al progressive.

martedì 18 ottobre 2011

RIEPILOGO: I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO (100-11)

Riepilogo:
11) The getty address, Dirty Projectors
12) On an island, David Gilmour
13) Cositas buenas, Paco De Lucia
14) Dieci stratagemmi, Franco Battiato
15) Toxicity, System Of a Down
16) You could have it so much better, Franz Ferdinand
17) I speak because I can, Laura Marling
18) Songs for the deaf, Queens Of The Stone Age
19) Happy with what you have to be happy with, King Crimson
20) The final frontier, Iron Maiden
21) If on a winter’s night, Sting
22) Cicciput, Elio E Le Storie Tese
23) Down the road, Van Morrison
24) Brainwashed, George Harrison
25) St. Anger, Metallica
26) Lateralus, Tool
27) Chimera, Andromeda
28) Hail to the thief, Radiohead
29) Cantora 2, Mercedes Sosa
30) Stagioni, Francesco Guccini
31. The way up, Pat Metheny
32. Fantasies & Delusions, Billy Joel
33. Hypnotize, System Of A Down
34. L’intagliatore di santi, Max Manfredi
35. Alas, I cannot swim, Laura Marling
36. Kid A, Radiohead
37. Selma songs, Bjork
38. Mwaliko, Lionel Loueke
39. Heathen Chemistry, Oasis
40. Exciter, Depeche Mode
41. The ultimate adventure, Chick Corea
42. Le dimensioni del mio caos, Caparezza
43. Avantasia – The metal Opera, Tobias Sammet & Co.
44. Reveal, R.E.M.
45. My Ummah, Sami Yusuf
46. 21st century breakdown, Green Day
47. By the way, Red Hot Chili Peppers
48. Rouge sang, Renaud
49. Songs and stories, George Benson
50. Oyo, Angelique Kidjo
51. Train of thought, Dream Theater
52. Ecstasy, Lou Reed
53. Fuad, Erkan Ogur & Djivan Gasparyan
54. Ëmëhntëhtt-Rê, Magma
55. Ritratti, Francesco Guccini
56. Karibu, Lionel Loueke
57. Just push play, Aerosmith
58. Accelerate, R.E.M.
59. Sambolera, Khadja Nin
60. Greendale, Neil Young
61. Nelson, Paolo Conte
62. I=II, Andromeda
63. Aerials, Kate Bush
64. Inferno, Motorhead
65. Gorillaz, Gorillaz
66. Steal this album, System Of A Down
67. Natural timbre, Steve Howe
68. Standing on the shoulder of giants, Oasis
69. Black clouds & silver linings, Dream Theater
70. Chaos and creation in the backyard, Paul McCartney
71. Resistenza e amore, Alessio Lega
72. Focus 9/New skin, Focus
73. Guero, Beck
74. Il sogno eretico, Caparezza
75. Everything that happens will happen today, Brian Eno & David Byrne
76. Dio è altrove, Marco Ongaro
77. Endless wire, Who
78. Devils & Dust, Bruce Springsteen
79. The power to believe, King Crimson
80. L’aldiquà, Samuele Bersani
81. Is there love in space?, Joe Satriani
82. Brave new world, Iron Maiden
83. Le roi des ombres, M
84. Real illusions: reflections, Steve Vai
85. Liberté, Cheb Khaled
86. Il vuoto, Franco Battiato
87. Death magnetic, Metallica
88. Elettra, Carmen Consoli
89. Working on a dream, Bruce Springsteen
90. Magnification, Yes
91. Rohmer, Rohmer
92. A night at the opera, Blind Guardian
93. Pezzi, Francesco De Gregori
94. Capital, Lyapis Trubetskoy
95. Snakes & arrows, Rush
96. Have a nice day, Bon Jovi
97. All that I am, Santana
98. The Marshall Mathers LP, Eminem
99. Dante XXI, Sepultura
100. Out of noise, Ryuichi Sakamoto

sabato 15 ottobre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 11: THE GETTY ADDRESS, Dirty Projectors

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 11
THE GETTY ADDRESS, Dirty Projectors
Lo sperimentalismo è qualcosa da intellettuali, ma la possibilità di diventare intellettuali è oggi praticamente data alla maggior parte delle persone in occidente, perciò è spesso colpa dell’individuo se la curiosità si smorza davanti a un testo più complicato. D’altro canto è arduo selezionare nel mare delle avanguardie passi degni di nota; certo che anziché perdere tempo a cercare qualcosa di buono nel pop, si guadagnerebbe molto di più (anche economicamente per il mondo) sondare un terreno instabile. E qui non si sta parlando di chi utilizza elementi sperimentali, ma di chi usa elementi “normali” all’interno di un difficile ascolto, che vuol dire difficile comprensione. Io scommetto sui Dirty Projectors, premiandoli con il posto più alto che ha qui la musica sperimentale tout court per la loro raffinatezza legata a un’ironia di fondo, e questa seconda caratteristica è quella che manca per esempio a Sakamoto (qui centesimo con il suo Out of noise, ma è interessante anche Chasm) e ad altri esponenti della popular music che si affaccia sulla classica. Perché c’è giustamente anche da aggiungere che, non essendo edificante il concetto di album nella musica classica, qui si escludono molti artisti di musica colta, tranne coloro, come appunto Sakamoto, che avendo un piede di lò e uno di qua, compongono dei veri e propri album. Dire che The getty address ha un piede nella classica sarebbe sbagliato, ma strizzandole l’occhio ne aumenta ancor di più il valore.

mercoledì 12 ottobre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 12: ON AN ISLAND, David Gilmour

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 12
ON AN ISLAND, David Gilmour
Eccettuando la famosa reunion del 2005 al Live8, non molto di quello che hanno fatto i Pink Floyd nel nuovo millennio è degno di memoria, considerando che sono probabilmente il più grande gruppo rock del secolo precedente. Fa eccezione l’album del chitarrista David Gilmour: sobrio, godibile, che si va spegnendo forse, ma con un incipit che funge da macchina del tempo per gli anni ’70: Costellorizon e On an island sono un accostamento da manuale eppure non banale. Com’è possibile? Stiamo parlando di chi è già nella storia.

lunedì 10 ottobre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 13: COSITAS BUENAS, Paco De Lucia

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 13
COSITAS BUENAS, Paco De Lucia
Unico candidato di flamenco, e unico spagnolo nei 100 (altri possibili potevano essere i Mago De Oz), Paco De Lucia ha registrato molti album in vita sua, ma non tutti con composizioni originali. Descrivere le atmosfere e le fantastiche virtuosità di questo significherebbe fare un’analisi tecnico-musicale di cui non ho forse la totale competenza per questo genere. L’unica cosa che si può velocemente notare è che l’album, rispetto ad altri del maestro, è da premiare per una sottile ricerca di atmosfere nuove senza esulare dal genere, quasi che sia ricominciato lo studio in mezzo a tanti live autocelebrativi.

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 14: DIECI STRATAGEMMI, Franco Battiato

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 14
DIECI STRATAGEMMI, Franco Battiato
Ho già confessato la limitatezza di tale classifica data la mia italianità. Due album ancora si incontreranno, mentre altri ce ne sono stati lungo la classifica, il più delle volte grazie soprattutto ai testi, come per Bersani, De Gregori o Carmen Consoli. L’accuratezza di Battiato sta proprio nel concentrarsi su entrambe le componenti della popular music. Canzone manifesto di questo è L’ermeneutica, qualcosa che si può definire “novità” senza timore che il termine si svaluti. Di fianco a tale ingarbugliamento sonoro, la capacità di trovare ancora delle melodie semplici ed efficaci come ne L’odore della polvere da sparo sbalordisce l’ascoltatore che trova tutto nell’album, anche (nuova) new wave con Tra sesso e castità. «Occidente accidente» dice Battiato: gli stratagemmi per scampare alla nostra società sono tutti lì, difficili da comprendere. Passerà alla storia anche la frase: «Mostruosa creatura: il suo nome è fanatismo».

domenica 9 ottobre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 15: TOXICITY, System Of A Down

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 15
TOXICITY, System Of A Down
Sono aperte le candidature per il più grande gruppo del decennio 2000-2010. Io voto i System Of A Down: me lo impongono i numeri prima di tutto (4 album metto in questa classifica dei primi 100); pochi possono fargli concorrenza; il loro impegno civile e storico anche al di là della musica è paragonabile a John Lennon; me lo dicono soprattutto le canzoni. Che commenti si possono fare a Toxicity e Chop Suey!? Incastri perfetti di melodia e ritmo, temi sul disfattismo moderno, fantasia musicale e orecchiabilità insieme, corrispondenza semiotica tra forma e contenuto, tutto... o quasi: un po’ più di compattezza nell’album e sarebbe stato da podio; ma forse lì c’è qualcos’altro.

sabato 8 ottobre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 16: YOU COULD HAVE IT SO MUCH BETTER, Franz Ferdinand

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 16
YOU COULD HAVE IT SO MUCH BETTER, Franz Ferdinand
I Franz Ferdinand compongono una musica innovativa che può essere riassunta come la faccia pop dei System Of A Down, e nella dicitura “pop” non c’è niente di offensivo, ma una connotazione dei suoni e degli atteggiamenti glam che caratterizzano molta musica anglosassone, e che in questo gruppo raggiunge probabilmente il massimo, almeno per adesso. The fallen, Do you want to, Walk away, You’re the reason I’m leaving e Outsiders sono frutto di un’inventiva che sembra non arrestarsi, ma che in realtà si è già esaurita come dimostra il recente Tonight Franz Ferdinand, debole per composizioni e inventiva. D’altronde era forse impossibile continuare a innestare innovazione su questo genere; si sono spremuti forse troppo presto, ma così hanno un album tra i migliori venti del nuovo millennio.

martedì 4 ottobre 2011

Un Vasco Non-Ciclopedico

Non s’intende in questa sede considerare il Blasco un grande o un piccolo cantautore, un mostro in senso positivo o negativo della nostra scena musicale (benché – opinione personale – non sia possibile restare in vetta per decenni senza essere a pieno diritto nella Storia della Musica). La domanda, invece, è: cosa è successo tra Vasco e Nonciclopedia?
I fatti (per i pochi che ancora non li conoscano): nel 2010 qualcuno della Combriccola scopre che Nonciclopedia ha una pagina satirica dedicata al rocker di Zonca. L’avvocato di Vasco diffida i gestori del sito, perché considera offensive alcune frasi contenute nella voce a lui dedicata (es.: Vasco Rossi è un vecchio bavoso tossicomane che vende cocaina davanti alle scuole e deve la sua fama alla credulità di milioni di rimbambiti fatti e strafatti quanto e più di lui!). Va detto, per chi non avesse mai digitato Nonciclopedia nella sua vita, che qui si da per scontato che si sta scherzando. I gestori del sito, dunque, si offrono di togliere le parti che offendono il rocker, ma l’avvocato non risponde. Dopo un anno (2011), vengono convocati dalla Polizia Postale. Scatta dunque la protesta: Nonciclopedia chiude i battenti.
Ora, frasi come quella riportata poche righe più su possono essere o meno satiriche, possono essere o meno offensive. Ma a chi fanno male? Al Blasco? Sono lì da anni, e non hanno convinto un solo fan: chi ama Vasco lo farà ancora, chi lo odia, idem. Ho letto spesso Nonciclopedia: mi piaceva leggere le voci dedicate ai miei idoli e alle persone che non sopporto. Non avevo mai letto la pagina di Vasco. Trovavo cose che mi facevano ridere (Chef Guevara è anche ricordato per l'invenzione della salamella, cibo sacro ad ogni vero comunista), e cose che facevano ridere di meno. Tutto normale. Nulla di offensivo: se non ti piace, digita qualcos’altro.
La battaglia di Vasco (vero Ciclope, in questa occasione) contro l’inerme Nonciclopedia (è scritta da ragazzini di 15 anni!) ci può far comprendere come, quando un gigante inesperto scopre un mezzo potente come la Rete, possa perdere il senso del reale: Vasco ha sbagliato, su tutta la linea.
Inutile attaccare un gruppo di ragazzini innocenti. Inutile combattere una battaglia per la propria immagine, quando per tutta la tua carriera sei stato attaccato con armi ben più affilate, e hai sempre resistito, grazie soprattutto alla religiosa venerazione dei fan. Autolesionista, ora, passare per il censore, proprio colui il quale ha costruito la sua fortuna sul termine e sul concetto di libertà. Vasco subisce un sonoro autogol, la Rete perde uno spazio di satira. Per comprendere come l’ha presa la community, basta fare un giro sulla pagina di Nonciclopedia o, meglio ancora, cercare Vasco Rossi su Facebook: alle precedenti parole d’incoraggiamento, meritate da una star che si mette in piazza in un momento di debolezza, si sono sostituiti commenti di rabbia e attacchi personali.
«Forse è meglio lasciare stare,
non posso rischiare,
forse è meglio che mi rimetta a dormire»
Vasco Rossi, 1979 Io non so più cosa fare







domenica 2 ottobre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 17: I SPEAK BECAUSE I CAN, Laura Marling

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 17
I SPEAK BECAUSE I CAN, Laura Marling
La bravura di Laura Marling non risiede solo nei profondi testi, allo stesso tempo poetici e attaccati alla realtà, ma anche nell’intensità sonora con cui accompagna le sue liriche, rivestendole di un’interpretazione che non esito a paragonare a Carole King. La traccia che dà il nome all’album è forse la più toccante: tratta la questione femminile senza retorica e senza pietà per un maschilismo ancora imperante in molti angoli del mondo, un mondo fatto di uomini che non si accorgono di come alcune donne sacrifichino la loro intera vita per loro e poi rimangano abbandonate, ormai troppo grandi per fare quello che non hanno mai potuto fare, «Never rode my bike down to the sea / never finished that letter I was writing / never got up and shared everything». È qui la presenza femminile più alta in classifica. Notevole anche il suo Wathever, qui al n. 35.

sabato 1 ottobre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 18: SONGS FOR THE DEAF, Queens Of The Stone Age

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 18
SONGS FOR THE DEAF, Queens Of The Stone Age
Concept on the road, dal titolo all’idea l’album cammina sull’orlo del banale e del già sentito, ma in realtà è tutto originale, e quello che c’è stato prima sembra assomigliare a questa sorta di perfezione sonora che molti chiamano “stoner”, genere rock per molti versi ambiguo, un po’ da vagabondo che conosce a memoria tutte le puntate dei Simpson, con un’ironia borghese e la voglia di non appartenere a quel mondo perché abbiamo tutti letto Oscar Wilde. I Queens Of The Stone Age fanno parte della contemporaneità più di qualsiasi sperimentatore circondato ai concerti da dieci tastiere alla ricerca di un suono nuovo: loro riescono a essere innovativi con chitarre elettriche, basso e batteria. Nonostante tutti i brani siano godibili, No one knows spicca su tutti, per la grazia con cui accosta parti diverse tra loro unite da una melodia fantastica e strascicata attraverso la sessione: tra le dieci canzoni più belle del nuovo millennio.

giovedì 29 settembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 19: HAPPY WITH WHAT YOU WANT TO BE HAPPY WITH, King Crimson

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 19
HAPPY WITH WHAT YOU WANT TO BE HAPPY WITH, King Crimson
Dire King Crimson significa soprattutto dire Robert Fripp: da quando In the court of the Crimson King ha inventato (o ha contribuito a inventare) un genere, Fripp non ha mai smesso di comporre con i più vari musicisti degli ottimi album, votati soprattutto alla sperimentazione estrema. Quando dalla sperimentazione esce qualcosa di fruibile per il pubblico, escono capolavori come Red o Starless and bilble black, o come quest’album del 2002. Per chiunque cerchi delle vie sperimentali, la traccia che dà il nome all’album può essere un ottimo esempio del punto che si può toccare con un continuo studio. Il pezzo forte dell’album si chiama però Eyes wide open, tra le canzoni più belle del nostro millennio: le atmosfere di chi vuole tenere gli occhi ben aperti sul mondo che ci circonda potranno far paura, ma sono deliziose.

mercoledì 28 settembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 20: THE FINAL FRONTIER, Iron Maiden

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 20
THE FINAL FRONTIER, Iron Maiden
Brave new world è un discreto album, ma The final frontier, nonostante il minore successo, è un album con più idee e con una buona voglia di rispolverare strutture metal: architetture compositive più lunghe e ben organizzate sono alla base di ottime sessioni come la traccia d’apertura Satellite 15...the final frontier. Anche canzoni più immediate come Mother of mercy dimostrano ancora la grinta che il gruppo aveva negli anni ’80. Il metal sembra essere ancora nel nuovo millennio un territorio in cui si può inventare, e in questa classifica tra i primi 30, 4 album sono metal e altri 4 sono molto vicini al genere.

lunedì 26 settembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 21: IF ON A WINTER'S NIGHT, Sting

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 21
IF ON A WINTER'S NIGHT, Sting
Perfetta operazione da filologo quella di Sting, che nonostante non abbia scritto neanche una canzone di quest’album, ne è stato compositore nel senso largo del termine, come Bartok, come Orff, come Boccaccio che scrive il Decameron inventandosi solo una ventina di trame e riprendendo le altre da tradizioni e aneddoti cittadini, ma in realtà diventando uno dei più grandi prosatori della storia. Un pezzo come Soul cake è (ri)entrato nella storia grazie a Sting, che nella quarta decade della sua carriera è diventato ormai l’intellettuale un po’ re Mida.

sabato 24 settembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 23: DOWN THE ROAD, Van Morrison

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 23
DOWN THE ROAD, Van Morrison

Come sempre, Van Morrison è un po’ il pupillo della critica: compone degli album che rasentavano la perfezione già da Astral weeks negli anni ’70. Lo si giudica quindi con massima severità, premiando ciò che compone di veramente speciale, ed è ciò che accade in questo splendido album, godibile all’ascolto, profondo nello studio, con una hit che sa di antico ma che ha qualcosa di innovativo come Meet me in the indian summer (famosa in Italia soprattutto grazie a una pubblicità). Cosa trattiene allora l’album dal salire sulle vette? Una canzone fastidiosissima: è possibile che nel ventunesimo secolo si facciano ancora cover di Georgia in my mind? A volte per fare una grande opera basterebbe riflettere su quello che la rovinerebbe, e una cover !normale! di questa canzone ha rovinato un album quasi perfetto.

venerdì 16 settembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 22: CICCIPUT, Elio E Le Storie Tese

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 22
CICCIPUT, Elio E Le Storie Tese
Tra i grandi gruppi degli ultimi anni spiccano gli Elio E Le Storie Tese, che hanno scritto capolavori negli anni ’90, ma che continuano in maniera esemplare anche dopo il 2000. Cicciput non è l’album migliore che hanno confezionato da tale data (e quindi aspettatevi altro in questa classifica), ma è comunque una grande opera che si regge su trame e sottotrame assurde, che prendono in giro la coerenza testuale. La parodia in EELST ha sempre il suo significato originario di ripresa di stilemi per generare un significato autre. Capolavori come Pagàno, Fossi figo e La follia della donna (parte I)...quanto ci sarebbe da scrivere su canzoni niccianamente abortite come quest’ultima per creare un sovrasenso avanguardistico! Il pezzo forte è però Abate cruento, che condensa in pochi minuti la storia della psicologia da Sofocle ai neuroni mirror. Il singolo Shpalman è inno al non-sense, filone in cui già avevano dato il massimo qualche anno prima con Il vitello dai piedi di balsa, e quindi già fatto per loro; ma qui serve come collegamento concettuale che porta dall’alienazione al paganesimo, e si conclude con un proclama del contingente quale Litfiba tornate insieme, o, per chi ha seguito la vicenda, Al mercato di Bonn, che dovrebbe essere il vero finale dell’opera nelle intenzioni degli autori. Uniche pecche dell’album sono delle canzoni un po’ sottotono come Budy Giampi, Gimmi I. (comunque esilarante) e Pilipino rock, quest’ultima incomprensibile anche nell’economia del sottinteso concept. Per questi motivi Cicciput non è il meglio che hanno scritto.

giovedì 15 settembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 24: BRAINWASHED, George Harrison

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 24
BRAINWASHED, George Harrison
Quando approntavo questa classifica, trattavo sempre con molta severità gli artisti con una carriera alle spalle, per contrastare l’influenza di un sound familiare che mi avrebbe troppo coinvolto. In ogni caso mai avrei pensato di mettere un Beatle tra i primi 30. Invece dribblando Ringo, premiando solo con un settantesimo posto il gradevole Chaos and creation in the backyard di Paul, non ho potuto chiudere le orecchie di fronte all’ultimo album di George. Sarà che quando qualcuno sta per morire concentra tutte le sue risorse, sarà la lunga gestazione dell’album cominciato nel 1988 e rimandato per alterne vicende, fatto sta che perle come Stuck inside a cloud o genialate come P2 vatican blues soddisfano critica e pubblico. A proposito del tema poi, dovrebbe essere indicativo il fatto che in Italia la pubblicità sia stata ridotta al minimo (di solito il primo album postumo di un grande artista ha grandi vendite in tutto il mondo occidentale) visto appunto quel fantastico blues che non parla direttamente di P2 e di Vaticano, ma che con grande sapienza semiotica in tre minuti descrive i motivi per cui nel nostro paese possono accadere cose del genere. Il fantastico sound tipico di Harrison, che rende compatto un album molto variegato dal punto di vista tematico, fa il resto: è da questa opera che comincia una vera e propria classifica, nel senso che Brainwashed potrebbe essere senza vergogna il più grande album del nuovo millennio, ma non lo è solo perché ce ne sono di migliori.

mercoledì 14 settembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 25: ST. ANGER, Metallica

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 25
ST. ANGER, Metallica
La peculiarità del più famoso gruppo metal della storia è quella di concepire degli album nel senso classico del rock, quindi pensando all’unità formale e contenutistica, dalla timbrica della batteria ai videoclip. Avviene anche qui: dopo un periodo sottotono negli anni ’90, già Garage inc. nel suo modo moderno di tornare alle origini, li aveva ricondotti sulla retta via, e nel nuovo millennio ritrovano l’oro con quest’album, forse grazie a una lunga pausa, o grazie al nuovo bassista, o forse semplicemente grazie a un impegno maggiore nella composizione. Le prime due tracce Frantic e St. Anger entrano nella storia senza passare dal via; un po’ ripetitivo il resto, ma comunque molto godibile. Valido, ma un po’ meno, l’album successivo Death magnetic, al n. 87 in questa classifica; ora aspettiamo tutti con ansia una delle coppie più strane che siano mai state anche solo pensate, il nuovo album Lulu con Lou Reed.

lunedì 12 settembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 26: LATERALUS, Tool

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 26
LATERALUS, Tool
Una delle canzoni più belle del nuovo millennio si chiama Schism. L’album che la contiene, Lateralus dei Tool è un esempio di ricercatezza stilistica e perfezione tecnico-formale che cerca l’innovazione ritmica e compositiva mantenendo una timbrica uniforme all’interno dell’opera. Tanta perfezione ha un solo difetto: dopo un po’ annoia. Per dirla soggettivamente, quando si ascolta l’album se ne loda l’arte, ma non si vede l’ora che finisca. Un difetto difficilmente sopportabile se chi, come quello che qui scrive, concepisce l’arte come comunicazione in cui il messaggio poetico sia essenziale, ma non unico, e affinché la comunicazione possa avvenire non si deve lasciar da parte nessuna delle sei componenti, mentre qui rimangono fuori il contesto e il destinatario. L’album successivo dei Tool, 10000 days, anziché limare questi difetti li acuisce all’estremo, perciò non è presente neanche tra i migliori 100.

sabato 10 settembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 27: CHIMERA, Andromeda

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 27
CHIMERA, Andromeda
I paesi nordici come la Svezia hanno sempre avanzato buone proposte nell’ambito della popular music. La patria di Nobel può vantare il chitarrista Yngwie Malmsteen (non presente in classifica con nessuno dei suoi album del nuovo millennio per una sperimentale rozzezza di questi che è difficile giustificare), forse il vero 3 del G3, o il buon pop degli Abba, il rock particolare degli Europe o dei Cardigans, senza scordare la lunga lista di gruppi metal come gli Opeth. Bando ai voli pindarici, gli Andromeda sono un gran gruppo che si pone nella scia dei Dream Theater, cioè in quel progressive che è diventato metal con gli anni, e che affida a complicate strutture e mirabolanti assoli la sua forza principale; mancherebbe una coesione strutturale nella maggior parte di questi lavori, anche perché trovata quella si raggiungerebbe la perfezione. Gli Andromeda sono sulla strada, ma finora non hanno trovato la chiave. Notevole oltre a "Chimera" anche il loro "I=II", al n. 62 qui.

mercoledì 7 settembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 28: HAIL TO THE THIEF, Radiohead

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 28
HAIL TO THE THIEF, Radiohead
Viene quasi la rabbia pensando a come i Radiohead non abbiano mantenuto le promesse degli anni ’90: Ok computer sembrava preludere a un’esplosione nel nuovo millennio, e invece sono implosi nella loro introversa esasperazione, creando sì ottimi album come Kid A, ma nessuno da podio. Non è già troppo tardi, e ho fiducia negli anni a venire. Hail to the thief, rientra tra i primi 30 proprio perché esplode all’inizio con la fantastica 2 + 2 = 5, e poi purtroppo si chiude, creando pochi momenti veramente godibili di paranoia universale, e un ottimo pezzo dal punto di vista dell’avanguardia, Myxomatosis. Tutto qui? A parte la vena politica sempre ben voluta, sì.

lunedì 5 settembre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 29: CANTORA 2, Mercedes Sosa

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 29
CANTORA 2, Mercedes Sosa
Da due anni ci ha lasciato la più grande cantante dell’Argentina, Mercedes Sosa. Come quasi un testamento l’artista ha selezionato il meglio delle canzoni ispaniche e le ha intepretate con altri artisti, attraverso due album formidabili Cantora 1 e 2, e piace qui premiare maggiormente le scelte del secondo. La bellezza di quest’album meriterebbe il podio, ma sono pur sempre cover, magistralmente interpretate e con un senso ben visibile, ma purtroppo solo cover.

giovedì 1 settembre 2011

Presentazione a Milano

GIOVEDI' 15 settembre
ore 20:30

in occasione del

LAMBRO LIFE
ex festa di rifondazione al Lambro
Via Feltre, 75
Milano

Federico Zazzara presenterà il libro Lavoro e altre piccole tragedie

mercoledì 31 agosto 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 30: STAGIONI, Francesco Guccini

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 30
STAGIONI, Francesco Guccini

Anche se la migliore prova della sua età matura è "D'amore di morte e di altre sciocchezze"('96), rientra per un soffio in classifica l'album di uno dei più grandi cantautori italiani, per un soffio anche perché la sua uscita è febbraio del 2000, quindi composto e registrato negli anni '90. Essenzialmente è "Addio" a consacrarne la validità, che più d'uno ha riconosciuto come una moderna "Avvelenata", sua canzone da outsider di trent'anni prima. Nulla da eccepire ed è quanto vuole pubblico, critica e storia della musica: un'intertestualità che crei un senso con tutta l'opera di un'artista, che non deve mai gettare la spugna, nonostante la sua opera ne enunci paradossalmente e costantemente l'abbandono. Le altre canzoni confezionano un discreto album, ma poco c'è da notare se non quella splendida "Don Chisciotte", di cui però Guccini non ha scritto né musica né testo.

sabato 20 agosto 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO (100-31)

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO DAL N. 100 AL N. 31
Ho selezionato una lista di album del ventunesimo secolo appena iniziato; artisti o lavori che per me sono significativi. Discutibile quanto si vuole (sia l'operazione che le scelte), è una lista che prima di tutto ha un limite geografico: è logico che dal mio punto di vista di occidentale e italiano ci siano alcune nazioni predominanti. Infatti tra i 100 artisti 26 sono inglesi e 26 sono statunitensi, e ben 16 gli italiani; ci sono poi altre nazioni di cui conosco la musica, ma che hanno una presenza limitata (Francia, Armenia e Benin con 4; Germania, Canada e Svezia con 2; Argentina, Brasile, Australia, Olanda e Spagna con 1); mentre ci sono nazioni di cui non conosco bene la musica e che sono pur presenti con un artista (Giappone, Algeria, Azerbaigian, Bielorussia, Irlanda, Islanda, Burundi, Messico, Turchia). Ma si scrivono queste cose sui blog proprio per avere consigli, critiche e suggerimenti.
Questa dunque è la classfica dalla posisione n. 100 alla n. 31. Pian piano scopriremo i primi 30 commentando con due parole ogni album. A presto.

31. The way up, Pat Metheny
32. Fantasies & Delusions, Billy Joel
33. Hypnotize, System Of A Down
34. L’intagliatore di santi, Max Manfredi
35. Wathever, Laura Marling
36. Kid A, Radiohead
37. Selma songs, Bjork
38. Mwaliko, Lionel Loueke
39. Heathen Chemistry, Oasis
40. Exciter, Depeche Mode
41. The ultimate adventure, Chick Corea
42. Le dimensioni del mio caos, Caparezza
43. Avantasia – The metal Opera, Tobias Sammet & Co.
44. Reveal, R.E.M.
45. My Ummah, Sami Yusuf
46. 21st century breakdown, Green Day
47. By the way, Red Hot Chili Peppers
48. Rouge sang, Renaud
49. Songs and stories, George Benson
50. Oyo, Angelique Kidjo
51. Train of thought, Dream Theater
52. Ecstasy, Lou Reed
53. Fuad, Erkan Ogur & Djivan Gasparyan
54. Ëmëhntëhtt-Rê, Magma
55. Ritratti, Francesco Guccini
56. Karibu, Lionel Loueke
57. Just push play, Aerosmith
58. Accelerate, R.E.M.
59. Sambolera, Khadja Nin
60. Greendale, Neil Young
61. Nelson, Paolo Conte
62. I=II, Andromeda
63. Aerials, Kate Bush
64. Inferno, Motorhead
65. Gorillaz, Gorillaz
66. Steal this album, System Of A Down
67. Natural timbre, Steve Howe
68. Standing on the shoulder of giants, Oasis
69. Black clouds & silver linings, Dream Theater
70. Chaos and creation in the backyard, Paul McCartney
71. Resistenza e amore, Alessio Lega
72. Focus 9/New skin, Focus
73. Guero, Beck
74. Il sogno eretico, Caparezza
75. Everything that happens will happen today, Brian Eno & David Byrne
76. Dio è altrove, Marco Ongaro
77. Endless wire, Who
78. Devils & Dust, Bruce Springsteen
79. The power to believe, King Crimson
80. L’aldiquà, Samuele Bersani
81. Is there love in space?, Joe Satriani
82. Brave new world, Iron Maiden
83. Le roi des ombres, M
84. Real illusions: reflections, Steve Vai
85. Liberté, Cheb Khaled
86. Il vuoto, Franco Battiato
87. Death magnetic, Metallica
88. Elettra, Carmen Consoli
89. Working on a dream, Bruce Springsteen
90. Magnification, Yes
91. Rohmer, Rohmer
92. A night at the opera, Blind Guardian
93. Pezzi, Francesco De Gregori
94. Capital, Lyapis Trubetskoy
95. Snakes & arrows, Rush
96. Have a nice day, Bon Jovi
97. All that I am, Santana
98. The Marshall Mathers LP, Eminem
99. Dante XXI, Sepultura
100. Out of noise, Ryuichi Sakamoto

domenica 24 luglio 2011

Motivazione del Premio Lunezia Pop ai Pooh, di Marco DI Pasquale


Redazione Musical-Letteraria Lunezia 2011

SEZIONE: «PREMI DI GENERE»
Analisi musical-letteraria
dell’album Dove comincia il sole
dei Pooh
Premio Lunezia Pop 2011

L’album fonde gli stili più vari in una miscela pop che può vantare l’icona sonora vocale dello storico gruppo, il quale, come i più grandi artisti di questo genere, è capace di rinnovarsi pur mantenendo lo stesso impatto sonoro: «icone immortali del pop [...] hanno incentivato continuamente il loro successo rilanciando la loro immagine, ma soprattutto affidando all’icona musicale il ruolo essenziale di coinvolgere le folle e di stimolarne il gusto» e questo perché «gli artisti pop destinati a lasciare un segno nella storia della musica spesso introducono una condizione di “conflitto” nel loro sé incarnato in fasi precedenti» . Proprio in tale capacità di essere se stessi ed essere altri al contempo è la forza che sorregge anche questa nuova fatica dei Pooh.

Rock e fusion, musica leggera e progressive, con punte persino di metal scandinavo, si incontrano con disinvoltura nei vari brani, così come nel pezzo di lancio Isabel: azzardi melodivi alla Stevie Wonder si intrecciano meravigliosamente come a imitare rispostine di fiati a una canzone che sembra non esserci, e invece si svela nella calma della digressione, che trasforma la sessione in un evento prog a tutti gli effetti.

Musicalmente rappresentativa di tutto l’album è quindi Isabel. Sul versante dei testi si svela invece una proliferazione di fantasia. Dall’amore e l’amicizia di Amica mia, al fantasy de L’aquila e il falco, giustamente accompagnata da punte di metal nordico. Dalla rivalsa personale di Questo sono io, alla tipica e innovativa esaltazione del mestiere del musicista in Musica. Dalle atmosfere oniriche di una nuova atlantide nelle tracce d’aperture Dove comincia il sole, a un tutt’altro che banale tema sociale di Fammi sognare, dove si respira un profumo di speranza vera nei versi: «Sogno che la gente attraversi il mare per la voglia di viaggiare, non per fame o per scappare via»; e nell’enjambement musicale e metrico che lascia da sola la parola “via” per un tipico acuto di Facchinetti, si dimostra la possenza iconica sonora dei Pooh.

Analisi Musical-Letteraria di Marco Di Pasquale

lunedì 4 luglio 2011

Il muro delle acque

«Riporta i ragazzi a casa»
Poi aggiunse:«Tengo io il posto».
Michi e la Lory erano diventati insopportabili: la piccola ogni dieci minuti chiedeva quando ce ne andiamo papi? e il grande doveva far la pipì (a casa aveva detto di no).
«Va’, riporta i ragazzi a casa».
Davide aveva messo su la solita maglietta demoniaca di gruppi che conosceva solo lui. La detestavo; lo aveva fatto apposta. Era una maglietta vecchia, ingrigita. Risaliva ai tempi dell’università, quando ci eravamo appena conosciuti. Facoltà di giurisprudenza, terzo piano, scala A. Davide era un tipo non bellissimo, ma aveva spalle grandi e chiappe alte. In più sapeva ammaliarti; sarebbe stato un grande avvocato. Poi successe quel che successe e al posto del Foro trovammo Michi.
All’inizio era tutto fantastico: lui iniziò a lavorare in un piccolo cinema e io facevo mezza giornata come segretaria. Quella maledetta maglietta la metteva spesso e, col tempo, come sempre succede, il tessuto iniziò ad allargarsi, perse il colore; persino il mostriciattolo sotto il logo sembrava più triste, rassegnato all’usura del tempo. Quante volte ero stata tentata di gettarla nella pattumiera quando vuotavo la lavatrice! ma non me l’avrebbe perdonata e sarebbero state liti infinite.
Davide aveva perso grinta, loquacità; si era completamente seduto sulla sua vita, sul lavoro al cinema e anche su di me. La cosa più frustrante di questo mondo è essere la moglie di un frustrato.
Anche per il concerto; l’idea era stata mia. Io avevo sentito che Waters veniva a Milano; io avevo comprato i biglietti con tanti mesi d’anticipo; io li avevo pagati, di tasca mia. Quattro posti in piedi, bimbi compresi. Pensavo sarebbe stata una cosa carina, anche per quel coro degli scolaretti in The Wall. Una cosa carina.
Lui non l’avrebbe mai fatto. Quando gli presentai l’idea commentò quel gruppo di frocetti?
Per Davide se la cassa non ti schiaffeggia e la chitarra non ti spacca le orecchie, non è mica musica.
«Mamma, pipì»
A me invece piacevano tanto. Ci avevo passato la giovinezza.
«Quando andiamo a casa papi?»
Ascoltarli era come dare parole a quello che sentivo della mia vita. Parole musicate.
«Riporta i ragazzi a casa»
E che musica! E che spettacolo!
Oh, li avrei riportati a casa. Avrei chiamato mamma e lei li avrebbe tenuti volentieri, per una sera. Ti puoi sempre fidare della mamma.

Risolta la pratica Michi/Lory avrei dovuto ributtarmi tra i diecimila fratelli-fan e ritrovare Davide. Preferii fermarmi in un bar, prima. Fare pipì, prendere una bottiglietta d’acqua.
Trovai un ristorante, ma sembrava chiuso. Solo che non c’era altro lì vicino, così provai ad entrare. La porta scivolò sui cardini senza alcun cigolio; c’era poca luce ed uno spazio vuoto e silenzioso. Da una porta laterale, a sinistra del ricco bancone, filtrava della luce.
«C’è qualcuno lì dentro?», chiesi. Non ci fu risposta, ma avvertii distintamente un colpo di tosse, o una voce che tentava di schiarirsi, e mi avvicinai.
«C’è qualcuno lì dentro?»
Sentii parlottare senza riuscire a comprendere le parole, poi qualcuno camminò nella mia direzione.
«Buonasera signora, mi dica»
«Salve, una mezza minerale non gasata, per piacere»
«Arriva», e sparì nuovamente dietro la porta. Mi avvicinai d’istinto, non so perché lo feci. Alla fine entrai.
Scoprii così una piccola sala, molto elegante, tutta bianca con i mobili e i tavolini neri. Ad uno di questi tavoli c’era un uomo. Sulle prime non lo riconobbi, poi la memoria automatica mi venne in soccorso. Pretty Woman! Era Richard Gere! Incartapecorito, ingrigito, ma sempre Richard Gere! Wow!
Non ci avrebbe creduto nessuno… Gere che beveva la sua acqua con relativa fettina di limone e riposava su una sedia minimalista, nella periferia di Milano.
No.
Aspetta…
«Excuse me, sir…»[1]
«Uh?!»
«Mr. Waters?»
«In the flesh!»
Tentennai. Poi lo abbracciai e dissi:«Thank you»
Sulle prime tremò d’imbarazzo. Poi mi abbracciò anche lui e, sorridendo, «Welcome, cherie»

Alla prossima.





[1] «Mi scusi, signore…»
«Uh?!»
«Il signor Waters?»
«In persona!»
«Grazie»
«Prego, cara»

lunedì 20 giugno 2011

LA MUSICA IN ANDORRA

LA MUSICA IN ANDORRA

L’Andorra è una piccola nazione sui Pirenei, a metà tra la Francia e la Spagna. A metà è anche la sua cultura e quindi la sua musica, anche se più rivolta alla Spagna, o meglio alla cultura catalana. È infatti in questa lingua che si esprime la danza popolare sardana, mentra in questa e altre lingue si esprime l’altra danza degna di nota, cioè la marratxa.
Sempre in catalano canta una delle poche cantanti pop: Marta Roure. La sua Jugarem a estimar nos si fonda sulla struttura ben consolidata di str. + rit. + str. + rit. + variazione + rit.; ma nella sua semplicità melodica è godibile per la dolce voce della cantante, inzuccherata dall’esotocità del catalano, una lingua che raramente si sente nella musica. Un’altra sua canzone degna di nota è Boig per tu.
Si può anche accennare a un’altra cantante, Susanne Georgi che ne La teva decisio (your decision) mischia catalano e inglese per raggiungere un pubblico più vasto, e ha una bella intuizione nel creare un ponte tra str. e rit. che spezza la solita sonorità pop con una specie di secco elettropop, con una tastiera ritmata che fa il verso alla melodia anche’essa molto spezzata in sillabe. Tutto sommato il risultato è molto pop, ma non dilettante.

lunedì 6 giugno 2011

giovedì 19 maggio 2011

LA MUSICA IN ARGENTINA

LA MUSICA IN ARGENTINA

Il tango nel paese d’argento non è nè il punto di partenza, nè il punto d’arrivo, ma il fulcro di passaggio, potremmo certamente dire fondamentale, specie per la risonanza internazionale che questo ballo ebbe nel mondo, a partire, pensate un po’, dai primi del Novecento, più o meno negli anni ’20 in Europa, anche se ogni tanto ci sembra di (ri)scoprirlo per la prima volta. E col tango al centro, la più bella storia argentina parte dalle danze popolari e arriva al più grande artista di questo paese, che, come accade purtroppo solo raramente, è una donna: Mercedes Sosa.
Una storia che racchiude quasi tutta la musica più saliente dell’Argentina, ad eccezione di quella parte della classica del Novecento, che vede nella grnade figura inventiva di Maurice Kagel, il merito di ottenere un posto di rilievo nell’avanguardia internazionale, caso raro per un paese che non appartiene all’Europa o al Nord-America. Ma non dobbiamo scordarci che stiamo parlando di uno di quei due grandi paesi sudamericani che partecipano alla cultura occidentale, molte volte superandola, o almeno superandola nei settori più popolari e popular: sto parlando naturalmente del Brasile, in cui se la musica classica non ha avuto gli ottimi risultati argentini (a parte l’opera grazie a Villa-Lobos), le danze e le musiche popolari, diventate ormai popular, hanno conosciuto uno sviluppo maggiore, forse perchè meno adatte all’operazione che farà del tango il maestro Piazzolla nella musica classica. Ma la carne è tanta, e procediamo con ordine.
Come appunto avverrà per altri paesi sudamericani, la musica popolare argentina ha qualcosa di naturalmente superiore perché fusione di tre quinti del mondo: l’America (cioè i nativi), l’Europa (quindi i colonizzatori) e l’Africa (gli schiavi importati per lavorare). Quest’ultima componente è meno influente qui di come lo sarà per esempio in Brasile. La fusione comunque comporta questa peculiare caratteristica della musica: l’effetto biritmico tra melodia e accompagnamento, un continuo sfasamento fra gli schemi ritmici della voce (o melodia suonata) e accompagnamento. È quella caratteristica che ci fa riconoscere immediatamente un tango: quando ascoltiamo il classico La cumparsita, sul ritmo incalzante si strascica la melodia, in un gioco forse anche ovvio; ma ascoltiamo una delle evoluzioni massime del tango, ad esempio Libertango di Astor Piazzolla, e si capirà come al ritmo incalzante, scrosciante, quasi da temporale con percussioni e archi impazziti che si intrecciano in un accompagnamento che un jazzista definirebbe fusion, si contrappone la famosa melodia con note allungate.
È quindi una tradizione che parte da danze popolari, come la zamba (interessante a riguardo la popolare Mi tierra) proposta anche molto col cantato, oppure il bailecito. Numerose sono le musiche, anche se risulta difficile stabilirne dei confini netti per distinguerle. Tranne alcuni canti religiosi di origine prettamente europea come le saetas, tutte queste musiche presentano la peculiarità biritmica, come la chacarera, proposta dal fantasioso gruppo Los Carabajal. È infatti straordinaria all’ascolto la varietà d’inventiva pur negli stessi schemi e con i soliti strumenti, un’altra peculiarità questa del popolo sudamericano tutto, come sarà per esempio nella savia andina di Bolivia e Cile.
Passando per altri generi, come la famosa milonga, si arriva quindi al tango, che nasce alla fine dell’800, e si sviluppa in vari filoni. A parte quelli che tutti conosciamo, è da ascoltare il filone strumentale detto tango-milonga, quasi irriconoscibile per le nostra abitudini, e consiglio a proposito Boedo di Julio De Caro. Il tango è quindi veramente la musica rappresentativa di questo paese: per i motivi di incastro ritmico che abbiamo detto; ma anche perché si è tramutato in molte forme, come quella più sociale di Carlos Gardel (1887-1935); ed è entrato nella musica classica argentina, che come la maggior parte della musica classica dei paesi non “europeizzanti”, fonde il tessuto popolare autoctono con le forme europee, spezzando ancor di più quel limite labile tra musica colta-popolare-popular. Di questi compositori abbiamo già accennato a Piazzolla, che entra nelle storie della musica in tutti i generi. Ma mi piace citare Alberto Williams: ascolate per esempio tra le sue Cinque milonghe, la n. 4 Luciérnagas en la redecilla de mi china, e si sentirà in un solo pianoforte il profumo di chi è europeo e per questo compone, e il profumo di chi suona e per questo è sudamericano, e mischia vertiginose scale alla ricerca di se stesso nell’incastro di ritmi di milonga.
Alberto Ginastera ci permette di concludere la parabola classica, perché è un compositore che racchiude in sè, nella sua continua sperimentazione, Williams e Kagel, essendo passato dalla riproposizione del popolare (forse troppo etnomusicologica) all’avanguardia.
Più che parlare di qualche opera di Kagel, è bello riassumere per i profani i gesti avanguardistici più significativi di questo grande musicista: primo esecutore di musica concreta in Argentina; primo a impiegare a un testo verbale come puro materiale fonetico senza badare al significato, nel 1953-58 con Anagrama, nella cui esecuzione si richiedevano, oltre al canto, urli, schiocchi e fischi; insieme agli avanguardisti italiani, è il primo a trattare la musica seriale in modo scherzoso e non troppo serioso, specie nel teatro; nella sua opera Match due violoncellisti fanno a gara di acrobazie; prima di Tactil i musicisti compiono ridicoli esercizi ginnici di riscaldamento; in Der atem lo strumentista pulisce continuamente il suo strumento a fiato, borbotta delle frasi, e a volte suona qualche nota; in Sonant del 1961 inserisce nell’organico una chitarra elettrica. Questi racconti fanno capire che Kagel è forse più interessante negli aneddoti che nella musica in sè, o tutt’al più è interessante guardare; ma ci sono delle composizioni godibili, come le serie Ludwig Van; così in lui come in altri avanguardisti argentini come Gerardo Gandini nella sua Silbando.
C’è però una storia da concludere, molto più importante: dal fulcro del tango, si diceva, si sono sviluppati vari tipi di tango e una parte consistente della musica classica, ma soprattutto cantanti di popular music, con due temi fondamentali, l’amore e la lotta sociale, senza che un genere escluda l’altro per un artista. Se si ascolta Amor de mis amores di Soledad Pastorutti, si capisce come l’incastro ritmico sia in fondo un modo di fare delle canzoni interessanti. È difficile che però un cantante riesca a infilare più di una bella canzone di seguito sul tema dell’amore, e magari si finisce per perdere l’origine originale e finire nel canale del pop, come Luciano Pereyra. Meglio buttarsi sul sociale; ma anche qui si può rischiare la ripetitività, perdendo le solite origini, come forse accade a Evaristo Barrios.
Chi non perde nulla del passato, pur innovando continuamente, è Mercedes Sosa, sicuramente la stella argentina. La voce di questa cantante e interprete straordinaria esprime già da sola la passione di secoli di incontri musicali. E quando questa si fonda su ritmi e ritmiche particolari, come Chacarera del 55, si capisce di cosa sto parlando. La maturità raggiunta le permette di affrontare anche delle ninna-nanne come novità: Duerme negrito raccomanda al bimbo di dormire tranquillamente, perché la madre sta nel campo a lavorare duramente per la sua pace, e proprio nella grana della voce si comprende come la pace del bimbo sia l’unica vera paga per la madre. In Te recuerdo Amanda affronta ancora una volta il tema sociale, ma stavolata gli operai e l’amore tra un uomo e una donna; questa canzone sembra iniziare con un accompagnamento piano, europeo nella sua semplicità; ma quando il racconto arriva all’incontro tra Amanda e Manuel, e ai loro cinuqe minuti in cui la vita può essere eterna, ecco che la chitarra esplode nella gioia ritmica sudamericana; e pare proprio simbolismo quello di associare al lavoro di fabbrica il piano accompagnamento pop europeo, e alla gioia di cinque minuti eterni la fantasia ritmica sudamericana, come a dire che gli Europei hanno portato la fabbrica, ma la vita vera è solo argentina, anche se ridotta a pochi minuti di pausa, pochi minuti come quelli di una canzone. A questo traslato tra vita e canzone è dedicato uno dei suoi capolavori Se si calla el cantor: la portata rivoluzionaria del canto è affermata con la motivazione di una morte fisica e morale “se tace il cantante”, perché il silenzio diventa tacere davanti ai soprusi dell’umanità, che portano alla morte, e quindi la canzone vale più di un sindacato, perché sa parlare a tutto il mondo.

martedì 12 aprile 2011

IL BERLUSCONIANO

IL BERLUSCONIANO

Il berlusconiano reinventa la morale
giorno per giorno, anno per ano,
con la faccia saccente di chi può aver ragione,
magari non ce l’ha, ma è pur sempre un’opinione.

Ha sempre un concreto risultato
per il megafono al microfono del diafano;
non è sua la colpa
se chi lo incolpa
non si discolpa;
ha l’ultima parola
perché chi lo ignora non ha vinto.

Il berlusconiano ha scoperto che chi è contro di lui lo accusa,
e deduce che chi lo accusa è contro di lui.
Ma trae linfa dal suo male,
condendo di vittimismo
il populismo del giornale.

Tra ammoniti e squalificati
porta a casa tre punti,
contesta l’arbitro
e il libero arbitrio.

lunedì 14 marzo 2011

MUTO - UNA PAROLA UNA POESIA # 8

MUTO

Scoprendomi animale inerme
con l’adrenalina che soffoca i reni,
non ho chiesto per chi suonasse la campana:
un sussulto mi è bastato a capire che suonava anche per me.

Mia sorella delle montagne
mi aveva promesso di saper volare,
e gli sciacalli stuprano una disabile inerme.

Fosse stata inerme quando tutti la pregavano di fermarsi
e più con lei non posso parlare:
parole protese.

martedì 8 marzo 2011

Sempre sia lodato

Se ne è parlato e sparlato, e quindi lo voglio fare anch’io. Il cosiddetto Lodo Alfano è solo l’ultima di una lunga serie di incredibili invenzioni per l’autodeterminazione del potere. E, aggiungo, meno male che Silvietto c’è (o c’è stato).
Non scherzo: Silvietto è l’ultimo passo, l’ultima prova. Non credo possa esistere altro, oltre. Se dopo Mussolini (eh, ma c’era la dittatura, rischiavi la fucilazione), Andreotti (eh, si stava meglio quando si stava peggio) e Craxi (eh, almeno il lavoro era sicuro) le scuse che si accampavano avevano sempre, nell’immaginario collettivo, un motivo fondante per “reggere”, dopo Silvietto le chiacchiere stanno a zero. Silvietto è la prova finale di cosa è realmente il potere. Non ci sono più scuse, e di questo lo ringrazio di cuore: è la prova tangibile della dilagante devastazione del tutto.

Rinfreschiamo la memoria:

1925/26 – Benzino Napaloni
Le leggi fascistissime accorpano il potere giuridico a quello esecutivo. In questa sede, me ne frego degli aspetti assolutistici inerenti alla modifica della legge elettorale, alla proibizione del diritto di sciopero per tutti i sindacati non-fascisti, all’omicidio Matteotti (vera anticamera delle leggi fascistissime) e all’albo dei giornalisti ideato e creato ad arte per il controllo delle voci. Tutto ciò esula dal punto. Il punto è che il potere ha dovuto scriverlo: io, esecutivo (cioè potere di applicare le leggi), mi prendo il giudiziario (cioè potere di giudicare chi quelle leggi le rispetta o no). Nel 1945 finisce la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1948 l’Italia viene chiamata a votare per scegliere tra essere una Monarchia o una Repubblica. Quest’ultima viene votata con un margine strettissimo di maggioranza: 8 punti percentuali. La Costituzione, basata su valori pienamente antifascisti, stabilisce che la Repubblica sia un ordinamento opposto a ciò che l’Italia ha conosciuto durante gli anni precedenti.

1978 – Andrea Giuliotti
Non mi dilungo, solo un paio di dati: Andreotti è il potere (che, come lui stesso ebbe a dire, logora solo chi non ce l’ha); impossibile quindi non parlarne. Basti pensare che attraversa l’intiera nostra storia repubblicana con incarichi importanti ancora fino al 21 febbraio 2007 (la sua astensione come Senatore a vita provocò la crisi del II Governo Prodi e le conseguenti dimissioni del Presidente del Consiglio) o fino al 20 aprile 2008, giorno in cui fu presidente provvisorio del Senato.
Andreotti è lo stesso uomo che nel 1978 firmò la legge 194 (legge sull’aborto) pur di «non compromettere una situazione politica già delicatissima». Questa scelta dimostra l’irrazionalità della democrazia (argomento che tratterò in altra sede): chi votava DC, cioè sceglieva coloro i quali avrebbero poi rappresentato i propri valori, interessi e quant’altro in Parlamento, avrebbe voluto la legge sull’aborto?
Inoltre, durante il rapimento Moro, il Divo sposa la linea della fermezza rifiutando di trattare con i rapitori, per salvaguardare la «ragion di Stato». Per salvaguardare la ragion di Stato…

1985 – Bottino Crassi
Oltre ad essere il cofirmatario con il Segretario di Stato Vaticano cardinal Agostino Casaroli del Nuovo Concordato (o Accordi di Villa Madama - 1984) con cui si istituiva l’8 per mille (!), l’immunità delle figure ecclesiastiche (!!), la parificazione delle scuole private cattoliche a quelle pubbliche (!!!) e l’impossibilità da parte della forza pubblica di requisire, occupare, espropriare, demolire o violare gli Edifici di Culto, anche su suolo italico (!!!!), Bettino Craxi è il papi di Papi.
Torino, Roma e PESCARA ingiungono al Gruppo Fininvest di sospendere le trasmissioni nei loro territori in quanto in violazione dell’articolo 195 del Codice Postale. Bottino ci si mette d’impegno, pone la fiducia (!!!!!) e converte in legge il decreto Berlusconi precedentemente (28 novembre 1984) bocciato. La strada è diventata un’autostrada, per Silvietto.

1994 – Silvietto I, Imperatore di Birbonia
Silvietto è un piduista. Cioè un massone. Purtroppo la lista con i nomi degli appartenenti alla Loggia eversiva Propaganda 2 è stata trovata (17 marzo 1981). L’Articolo 18 della Costituzione della Repubblica Italiana proibisce «le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare». Questo significa, in soldoni, che quello che è successo per la quarta volta venerdì 9 maggio 2008 alle 17.00 precise, cioè Silvietto che, di fronte al Presidente della Repubblica, recita tutto d’un fiato «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione» è irreale. Non può essere successo. Intanto lui è lì.

E intanto…

Qui dovrebbe seguire una lista delle leggi proposte, discusse ed approvate dal nostro Parlamento negli ultimi 17 anni, per coerenza con lo scopo del post, cioè rimarcare l’autodeterminazione del potere, qualunque potere sia (Mussolini dittatore, Andreotti democristiano, Craxi socialista e Berlusconi birbone); ma non sono Travaglio e non ne ho nessuna voglia. Mi basta parlare di una legge, e non di Berlusconi, ma di quella fogna che si autodefinisce centrosinistra; la dimostrazione matematica di come il potere si autodetermini è in quell’unica legge che il centrosinistra aveva il dovere morale di varare e non ha varato: il conflitto d’interessi. Una sola riga.

Art. 1: chiunque sia beneficiario di concessioni pubbliche non può ricoprire ruoli istituzionali.

Quanto, tre minuti di lavoro? Facciamo quattro, per le fotocopie? NO, NEANCHE! Perché:

DPR 361 del 30 marzo 1957, Articolo 1, comma 1
«Non sono eleggibili [...] coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l'obbligo di adempimenti specifici, l'osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta»

I comunisti, sicuramente. Anche perché Silvietto aveva già 21 anni, quindi si sono premuniti.
Insomma la legge c’è già, e cosa succede quando chi deve far rispettare le leggi non le rispetta?
La risposta è KaOs.

Chiudo con una citazioncina strabusata, ma ci sta:
«Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti [...]. Perché non si possa abusare del potere occorre che [...] il potere arresti il potere» Montesquieu (1689-1755)

Parafrasando O’Toole nella sua chiosa alla legge di Murphy, dirò che Montesquieu era uno stupido ottimista.

Alla prossima.



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Piccola curiosità: chi ha scelto Fratelli d’Italia come inno nazionale? Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Giulio Andreotti, il 12 ottobre del 1946.
Grossa curiosità: la prima Legge Andreotti è del 1949. In qualità di sottosegretario allo spettacolo, il nostro decretò quanto dovesse durare un film per essere considerato corto, medio o lungometraggio, ma non solo: la Legge Andreotti fissava le regole per i prestiti alle case di produzione. I film privi di punto di vista politico erano premiati da prestiti maggiori. Non ultimo, a un film poteva essere negata la licenza di esportazione se “diffamava l’Italia”. Per la cronaca: eravamo in pieno neorealismo.