martedì 28 dicembre 2010

La scommessa persa – Senza titulo #11

MILANOLa scommessa persa. Ce l’avevano detto. E comunque anche chi scrive resta stupido e stupito; con quegli altri in curva (e non me ne vogliano!), viviamo l’incanto dei ragazzini di fronte ad un trucco magico, sempre nuovo. Jerry danza, si lascia trascinare dall’istinto, non c’è prova che lo spaventi. Fino a pochi mesi fa si trattava solo di una scommessa, rilanciata ad ogni piccolo spazio che il mister decideva di lasciargli. Timide, come scommesse, perse praticamente sempre in partenza. Cos’è successo nell’arco di un’estate? Jerry turbina, mosso dal vento, sulla fascia o al centro non importa; e il vento è imprevedibile, non c’è modo di fermarlo: se decide di soffiare, lo fa.
Non siamo certo qui a celebrare un campione. Lasciamo ad altri le valutazioni, i voti scambiati sottobanco, i premi (non è sulla lista per il Pallone d’Oro. E allora?). Jerry va visto, non premiato. Di Jerry bisogna goderne, ogni domenica, direttamente sul campo. E non c’inganni il fisico gracile, l’equilibrio apparentemente precario, perché egli rappresenta la felicità: labile, fugace, imprendibile. La felicità di migliaia di giovani imbambolati: cosa sta facendo? Dove andrà? Può davvero la (omissis) puntare in alto (Campionato? Champions?)? La verità è che non importa.
Di Jerry non ne appaiono molti, forse un paio per ogni generazione di calciatori. Continuiamo a seguire il vento, come i ragazzini che giocano per strada, senza chiederci dove va, né perché.

domenica 26 dicembre 2010

Il pop progressive

QUANDO IL PROGRESSIVE NON È ROCK

Con progressive si intende un sottogenere del rock che comprende la produzione musicale di gruppi come King Crimson, Gentle Giant, Genesis, Yes, PFM e Magma, fino a quelli più recenti come Andromeda e Dream Theater.
Per altri gruppi come gli Strawbs il Dizionario del Pop-rock a cura di Gentile e Tonti si esprime così sull’album Strawbs: «suoni ancora virati sul versante acustico, ma già elaborati con un’attitudine epica e lievemente “progressive”»; mentre sull’album Just a collection of antiques and curios: «spostano il sound del gruppo verso ambiti prog-rock e rock-baroque». Prima che si crei un genere per ogni gruppo musicale (per ogni album, per ogni canzone, per ogni strofa), direi che gli Strawbs si inseriscono in una fase sperimentale del rock che se estesa anche alla struttura della canzone singola può portare al progressive, ma è ancora al di qua di quello che sono gli Yes . Così non si può totalmente ascrivere al genere un gruppo come i Moody Blues, che sicuramente progettano concept sinfonici, ma l’essenza della canzone è decisamente di un rock più orecchiabile. C’era chi vedeva in Days of future passed (1967) di questi ultimi il primo passo del progressive; ma ciò che si sente ascoltando l’album è solo la commistione di rock e musica classica, inseriti quasi in un concept, o comunque in un efficace tentativo di riunire le canzoni sotto un filo conduttore, prodotto diverso dal concept, anche se su quella strada. È già onorevole così l’esperienza sperimentale del gruppo, senza dovergli attribuire intenzioni di un genere che probabilmente non gli è mai appartenuto. Stesso discorso si può fare per i Procol Harum. Mentre quando questo metodo di composizione supera il limite ed entra nel progressive, si ha un gruppo come i Curved Air, che non si limitano per esempio a rifare Vivaldi, o a ispirarsi a lui per qualche pezzo (come i Procol Harum avevano fatto con Bach per la famosa A whiter shade of pale), ma elevano a rock la musica classica, e prendono a prestito frasi musicali per inserirle in progetti di album prog, che sono tali nelle micro e nelle macrostrutture, come nel primo album del 1970 Air conditioning. A tal proposito il dizionario di Gentile e Tonti usa anche l’espressione «pop progressivo» , non del tutto sbagliata stavolta, e applicabile anche ad altri gruppi, tra cui spiccano per valore i Barclay James Harvest (capolavori sono album come Once again del ’71 e Octoberon del ’76). Pop, e non rock progressivo, non tanto per le atmosfere più distese e meno veloci, ma perché rispetto a quel che c’è in una canzone come Roundabaout degli Yes, i pezzi mancano degli incastri di strumenti che non permettevano l’esecuzione del pezzo da parte di un unico strumento armonico; quel che c’è è lo studio della struttura, e quindi la fuoriuscita da una classica sequenza di strofe e ritornelli; e anche laddove ciò avviene, i rimandi interni delle parti musicali non permettono una netta divisione. Altri gruppi si inseriscono in questa variante che troverà seguito fino ad oggi: i Renaissance sono dei maestri in questo sottogenere del sottogenere; ma in generale tutti i gruppi della corrente rock progressiva hanno sporadiche intrusioni di pop progressive ogni qualvolta si perde il senso della microstruttura artificiosa, senza abbandonare quello della macrostruttura.

domenica 19 dicembre 2010

Fantàsia – Senza titulo #10


Abbiamo forse trovato l’erede di (omissis), (omissis) o (omissis)? Ha veramente senso chiedersi una cosa simile? Non è forse la cosa più meravigliosa che passeggi sui nostri campi di calcio, questo virgulto siciliano con gli occhi dietro la testa? Sì, dietro la testa: come potrebbe, altrimenti, vedere chi gli è alle spalle? Come può effettuare lanci perfetti di quaranta metri senza avere, dentro di sé, qualcosa di magico, quasi DNA alieno? Da dove arriva questa sua visione così nuova e limpida, questa tecnica sopraffina, e quella voglia d’inventare ogni domenica nuovi colpi proibiti ai più? Avevamo mai visto niente del genere? È il classico numero 10 o siamo al cospetto del progresso vero e proprio, del nuovo, del Calcio versione 3.0? Chi non vorrebbe cotanto genio nella sua rosa? Quale presidente non spenderebbe fino all’ultimo centesimo pur di riavvicinare il pubblico alla squadra e la squadra alle vittorie? Quanta alchimia si cela dietro ogni tocco, ogni carezza che accompagna il pallone nelle pennellate perfette? Quanti abbonamenti televisivi vale, quest’uomo? Non era stato detto che è troppo vecchio? E torniamo alla questione principale: hanno veramente senso tutte queste domande, quando la risposta è così lampante? Chi avrebbe previsto che un trentaquattrenne potesse avere ancora la forza e il coraggio di mettersi in gioco, di rafforzarsi per resistere agli infortuni, di disegnare parabole sempre imprevedibili, di scaricare colli pieni da distanze siderali? No, queste domande non hanno senso se non si comprende a pieno la regola che è dietro questo tipo di giocatore: siete disposti a farlo?
La regola è Fantàsia.

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lunedì 13 dicembre 2010

È festa – Senza titulo #9

ROMAÈ festa. Sarà anche un ragazzaccio, questo Marco (omissis), con tutte le sue veline e feste in discoteca. Potrà sembrare borioso e vanaglorioso, al volante della sua 599, sfrecciando sul Raccordo in barba al codice della strada e della morale. Ai più, apparirà come un bambino viziato. Eppure Marco ha un cuore d’oro. Domenica sera ha tenuto su la squadra, è tornato a coprire, ha fatto reparto da solo (a proposito: il pallone era rimbalzato dentro. Quando ci decideremo con la tecnologia sarà sempre troppo tardi), ha collezionato due pali e ben tre fuorigioco dubbi, fino all’exploit finale. A noi piace, Marco. Lo abbiamo sentito al telefono, ed è stato solare e disponibile. Proprio come in campo: non ha dribblato nessuna domanda, neanche le più scomode, e quando gli abbiamo fatto i complimenti per la doppietta, lo abbiamo sentito abbassare gli occhi imbarazzato, schiarirsi la voce e rispondere con la frase di rito «l’importante è la squadra». E invece no, Marco, la tua giornata d’oro ti porta a doppia cifra nella classifica marcatori, e forse anche il ct (omissis) ora si accorgerà di te. Ma veniamo alla cronaca.
Dopo una bella azione sulla fascia, l’ala crossava al centro, il passaggio veniva respinto dalla difesa avversaria, il mediano calciava da fuori ma la conclusione era sbilenca. Ci pensava Marco a correggere di testa per il goal dell’1-0. Neanche il tempo di festeggiare che su un lungo rilancio della difesa, la punta controllava di nuovo un difficile pallone col petto, evitava l’intervento disperato del portiere e metteva dentro il più facile dei goal. 2-0. In circa 100’’ di follia, dopo una partita brutta e noiosa, questo Sant’Antonio di giovanotto viziato, pieno di soldi e di sé, risolveva il campionato regalando l’Europa alla sua città.
Ora il fanciullo ha messo il turbo, come la sua Ferrari, e sarà veramente difficile stargli dietro.

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giovedì 9 dicembre 2010

Tecniche di governo tecnico


Montecitorio. Tafferugli. Caciara.
Si vota la fiducia.
«Fascisti! FASCISTI!! Voi, sì, voi! Dov’eravate quando con il compagno Pisu combattevam sul Piave delle nostre coscienze? Nelle piazze, in fabbrica, in mezzo alla gente vera, quella che VOI avete dimenticato!»
pam pam pam «Onorevoli colleghi…»
«Fascisti!»
pam pam pam «Onorevoli colleghi, vi richiamo all’ordine»
«Pss, Pisu. Cazzo fai, dormi?»
«Yaaaawn», sbadigliò Pisu. «Mmh?»
«Dai che dobbiamo votare», e, rivolgendosi alla Camera:«Schifo! Fate schifo! Vergogna!»
«Ma scusa, state ancora discutendo, fammi dormire, no?»
pam pam pam «Onorevole Pisu, se potesse partecipare anche lei alla riunione, al posto di sonnecchiare sui banchi della Camera… anche per dare» pam pam pam «Onorevoli colleghi, vi prego!» pam pam pam «anche per dare una parvenza di professionalità»
«Vergogna! Fascisti!». Poi, a voce più bassa:«Visto? Che figura… e ricordati di votare bene»
Pisu si scosse dalla testa ai piedi e sbarrò gli occhi, come per riattivare remoti circuiti critici sopiti anch’essi dall’estenuante mestiere della Politica.
«Mandiamo a casa l’Imperatore, quindi»
«COSA?»
«Dico, lo mandiamo a CASA!»
«Sei scemo?»
«?»
«Pisu, devi votare la fiducia! Devi votare [SI]!»
«Ma se gli stai dando dei fasci da un’ora…?»
pam pam pam «Onorevoli!»
«Che c’entra, quello è per lo show». Questa volta fu un sussurro, un groviglio di parole nascoste nel turbinio della passione di destra, di sinistra, di centro. «È ancora presto…»
«Vergogna! Avete rovinato l’Italia»
«Presto per cosa?»
«Non sono ancora passati due anni, sei mesi e un giorno… Ora grida con me, e ricorda di votargli la fiducia»
«Fascisti!»
pam pam pam
«Vergogna!!»

Un piccolo consiglio: scrivete due anni, sei mesi e un giorno su Google…
Alla prossima.

lunedì 6 dicembre 2010

Il cilento – Senza titulo #8


«Niente oggi, eh?»
«Bah»
«Che ne dici della punta?»
«Ma non lo vedi? Si muove come (omissis), è un pezzo di legno!»
«’Sti ragazzi di oggi…»
«Aspetta aspetta…»
«Aspetta cosa?»
«Guarda il mediano»
«Mmh…»
«Il mediano ha piedi buoni»
«Vero»
«Forse un po’ lento»
«Sì, ma ha occhio, ha posizione»
«Belle sterzate, corpo eretto»
«Vedi un po’ da dove viene»
«Sembra cileno»
«Mmh»
«Un altro extracomunitario»
«Ce lo possiamo permettere?»
«Non credo»
«Ma il presidente non lo voleva vendere (omissis)
«Così ho sentito anch’io»
«Se lo vende ci siamo»
«Quello ha proprio piedi buoni»
«Con chi è?»
«Lo presenta suo padre, il dottor (omissis). Gioca in promozione, con la (omissis)»
«Mmh. Allora è campano, altro che cileno. Non ci sono problemi»
«Lo blocchiamo!»
«Un cileno… eh-eh!»
«Lento»
«Un campano dai piedi buoni»
«Buonissimi!»
«Vai dal padre, questo ce lo fregano»
«Ce lo fregano?»
«La (omissis) cerca un mediano da due anni»
«Mmh»
«Lo blocchiamo prima che vadano di là»
«Pochi complimenti, giusto?»
«Pochi complimenti. Digli che potrebbe piacerci e fagli firmare una bozza di cartellino»
«Rosa?»
«Giallo»
[..]
«Dottor (omissis), quel cilento di suo figlio ha piedi buoni»
«Come, scusi?»
«Oops, mi perdoni…»

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martedì 30 novembre 2010

I FILM PIÙ BELLI DI MARIO MONICELLI

Non sono solito fare coccodrilli, né al forno né fritti, ma amavo molto l'opera di Mario Monicelli, e anche l'uomo, avendolo tra l'altro anche conosciuto personalmente. Non a caso nel libro "Lavoro e altre piccole tragedie" c'è una poesia che prende il nome da un suo film "Il medico e lo stregone". L'unica cosa che posso fare è un elenco (visto che va di moda, ed è una moda che mi piace, come raramente accade) di quelli che a mio parere sono i film più belli, logicamente tra quelli che ho visto, cioè quasi tutti:
- I soliti ignoti
- La grande guerra
- I compagni
- Il medico e lo stregone
- Parenti serpenti
- Signore e signori, buonanotte
- Guardie e ladri
- Il marchese del grillo
- Totò e Carolina
- Risate di gioia
- Amici miei
- Totò e i re di Roma
- La ragazza con la pistola
- Un borghese piccolo piccolo
- Speriamo che sia femmina
- Vogliamo i colonnelli
- L'armata Brancaleone
- Capriccio all'italiana
- Amici miei - atto II
- I nuovi mostri
- Totò cerca casa
- Brancaleone alle crociate
- I picari
- Panni sporchi
- Il male oscuro
- Totò e le donne
- Boccaccio '70
- Le rose del deserto
- Un eroe dei nostri tempi
- Casanova '70
- Romanzo popolare
- Caro Michele
- Cari fottutissimi amici
- Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno

lunedì 29 novembre 2010

Ala destra del padre – Senza titulo #7

dammi la palla dai sono pronto no non preoccuparti quello lo supero guarda tunnel e vado via e salto anche quell’altro finta a destra finta a sinistra corro corro corro la palla al piede sì Mirko ti ho visto ma vado sul fondo, rientro sul sinistro finto il cross supero anche il terzino la sposto sul destro e fiiiiiiii rigore!
diosanto che male questo mi ha spezzato il ginocchio rotolo rotolo rotolo dicono che serve a far sparire il dolore e allora rotolo rotolo rotula rotula rotula non è vero un cazzo mi fa male il ginocchio mi fa male male male mi fa se mi alzo t’ammazzo diosanto non lo muovo NON LO MUOVO correte con quello spray di merda levatevi mi levate il fiato aiuto mi fa male ma se mi alzo!
non mi alzo barella non mi alzo medici non mi alzo applausi che cazzo applaudite mi ha spezzato il ginocchio se mio padre mi vedesse mio padre mi vede perché è dirigente dell’altra squadra cazzo pa’ proprio tu e vieni perdio mi fa male il ginocchio dovresti saperne qualcosa hai giocato tanti anni fa mi fa male ginocchio ginocchio ginocchio ambulanza elicottero.
ospedale papà è qui chiama mamma dille che sto bene lo so che non è vero ma tu fallo adesso mi operano hanno messo l’anestesia sto meglio sto peggio non so dire come sto sto rimbambito non vedo più niente però il ginocchio fa meno male, meno male.
ginocchio occhio per occhio occhio quando torno ti spacco il femore quant’è vero iddio diglielo a quello stronzo l’operazione è andata bene ma io torno, diglielo a quello stronzo non sono mica (omissis) che si è giocato la carriera diglielo a quello stronzo e adesso è grasso come un porco io torno non vado mica in spagna io torno e quello lo stendo te lo giuro io torno com’è finita la partita?
l’hanno pure parato, il rigore.


venerdì 26 novembre 2010

"Nudi di canzone", il prossimo libro con un contributo di Marco Di Pasquale

Sta per uscire "Nudi di canzone. Navigando tra i generi della canzone italiana attraverso il valore musical-letterario.", un libro a cura di Paolo Talanca con un contributo di Marco Di Pasquale. I vari critici del libro affrontano i generi tipici della canzone italiana dal jazz al pop, dalla canzone d'autore al rock (quest'ultimo trattato da Di Pasquale).

martedì 23 novembre 2010

TheRock – Senza titulo #6

Non capisco.
Non capisco tutto questo accapigliarsi. Sarò tonto, come dice il mister. Però mi fa giocare sempre. Non capisco.
Si menano, questi. Corrono e si affaticano. Sono così piccolini.
Novanta chili per due metri d’altezza, difensore, una roccia dice la mia figurina. Mio figlio me l’ha regalata per il compleanno. Che bono! In foto ho la faccia un po’ stupida, e mia moglie ha riso, ma a me ha fatto piacere. In casa è lei che porta i pantaloni, ma quando vado in ritiro mi riposo un po’. Gli altri sono tristi, sembrano galeotti. Non si esce, in ritiro. Si sta in camera, si mangia poco, si corre molto. Solitamente il mister se ne sta incazzato e sbraita, e quando il presidente ha finito il suo intervento e se ne va, il mister sbraita ancora di più. Con me, però, no. È piccolino anche lui.
Domenica scorsa ho fatto goal. Oddio, messa così sembra chissà che... vincevamo tre a zero e così, per una volta, sono salito su un calcio d’angolo. Praticamente la palla mi ha sbattuto sulla testa e si è insaccata in porta. Bel passaggio!, ho urlato a Roby mentre riprendevo la posizione. È finita cinque a uno, i tifosi hanno fatto festa, ci siamo divertiti.
Fondamentalmente, mi piace il mio lavoro. Mi pagano bene (anche se i soldi li gestisce Ilaria, mia moglie), devo correre per sei giorni e stare fermo in difesa la domenica. Se penso che c’è tanta gente che invece lavora, magari guadagna solo due-tremila euro… come se lo compra il Suv? E se c’ha i figli? Non ci voglio manco pensare.
Sono fortunato. Me ne sto lì, quelli corrono, io allungo una gamba o faccio un saltino, e poi il mediano lancia l’attacco. Ilaria dice che se resisto fino ai trentacinque-entasei mio figlio può andare a studiare in America. Io non ho capito che ci va a fare a studiare in America: c’abbiamo tante scuole noi. Lo vedo sempre in televisione, con le pubblicità e il resto. Vabbè, tanto comanda sempre lei. Vi saluto, che devo farmi la doccia, sapete.

martedì 16 novembre 2010

Chi è veramente Roberto Saviano

Da molto tempo, da sempre, da quando si è cominciato a parlare di lui, molti sono stati contro Roberto Saviano, accusando l'uomo, il suo lucrare sulla malavita, fino ad additarlo come camorrista e perciò conoscitore di molti fatti veri o presunti. I difensori sono stati altrettanto numerosi, e primo tra tutti lui stesso, che riesce abilmente da solo a controbattere.
Ma nella diatriba si scorda qualcosa: i suoi accusatori potrebbero essere paragonati a quelli che mettono in dubbio l'esistenza di Shakespeare, l'esistenza di Leonardo da Vinci, o di altri grandi uomini in base a prove biografiche che in realtà gli storici conoscono già. In questo il filologo, il semiotico, lo storico, e chiunque veda la realtà da un punto di vista scientifico scorge immediatamente l'errore: Shakespeare non è solo un certo William nato a Stratford upon Avon nel 1564, notizia discutibile quanto si vuole; ma è la sigla che indica un uomo, quel grande uomo che scrisse intorno al 1600 Romeo e Giulietta, Otello, Amleto e altri capolavori; in parole povere Shakespeare è prima di tutto le sue opere, vale a dire, l'uomo è quello che fa.
Così quando si critica Saviano accusandolo di essere qualcosa di diverso da quello che fa, si commette lo stesso errore scientifico: egli è quello che fa. Se lui esprime con le sue parole, con i suoi libri, con la sua trasmissione televisivia, l'antimafia, chi critica Saviano può essere solo dalla parte della mafia.

domenica 14 novembre 2010

Michelino - Senza titulo #5

Michelino, piacere. Sì, gioco con la (omissis) già da qualche anno. No no, ne ho ventisei. Mah, guarda, quest’anno non lo so, ma l’anno scorso… ah, segui il calcio? Bene, mi fa piacere. No, è che solitamente non ci si aspetta che una ragazza segua le partite, è una cosa più da… uomini, diciamo. Come? Sessista? Ehm… sì, cioè, mi piace fare… sei una che va subito al sodo, eh?
Ah. No, cioè, le femmine sono uguali, non… ma io non volevo… io non volevo offendere nessuno, giuro. Ascolta, allora, tu per chi tifi? Beh, bella squadra! No, guarda, con quel centrale, non… beh, prendi me, ad esempio. Io faccio bene le due fasi e… mmh? Le due fasi. Praticamente, il calcio è una scienza quasi, è una cosa difficile. Tu hai due momenti, quando giochi, e si chiamano le due fasi: in una prima fase, difendi. Quindi subisci l’attacco degli avversari e devi evitare che quelli mettano la palla in porta. No, non credo che tu… no, non credo tu sia stupida, era per, diciamo, rinfrescare la situazione, che è già calda di per sé, e se devo essere sincero è colpa tua. Sì, è colpa tua: perché sei bellissima e non riesco a toglierti gli occhi di dosso. Come “banale”? Ma io… ok, cambiamo discorso, va bene? Dicevamo delle due fasi. Quando difendi, devi recuperare palla e ripartire. E io questo lo faccio benissimo. Il mister dice che sono uno dei migliori al mondo. Lui esagera, però è vero che me la cavo. L’anno scorso ho avuto uno score di quasi 400 e ho segnato anche otto goal, quindi… no, non sto facendo il galletto, è che… ascolta, adesso basta, tu… no, ASCOLTI TU! Hai rotto il cazzo con questa storia, ok? Io mi sono avvicinato e tu è dall’inizio “non credere che io sia stupida” e “sei un sessista”. Cazzo, ma chi ti credi di essere? Torna su questo pianeta! Parli come mangi! Ho affrontato i migliori campioni d’Europa, ho vinto un Mondiale, e adesso tu guarda se devo sopportare… no no, mi stai a sentire eccome: io l’anno scorso potevo vincere da solo lo Scudetto, se solo non… facciamo così: vai affanculo!
Sbollita la rabbia, Michelino pensò alla Sua Curva, a come gridavano il Suo nome. E a quanta figa meno sofisticata c’era lì da lui. Forza (omissis) e tutti gli altri andassero a quel paese.

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Tour di Presentazioni 2010/2011

Di seguito i prossimi appuntamenti con LAVORO E ALTRE PICCOLE TRAGEDIE


Domenica 21 Novembre 2010 – ore 16:00
FESTIVAL DELLE LETTERATURE DELL’ADRIATICO – VIII EDIZIONE
Presso Museo Vittoria Colonna, P.zza Primo Maggio, 10 – Pescara
Saranno presenti gli autori Marco Di Pasquale e Federico Zazzara


Martedì 23 Novembre 2010 – ore 19:30
LIBRERIA NUOVA SCALDAPENSIERI
Via Don Bosco, 39 – Milano
Sarà presente l’autore Federico Zazzara


Giovedì 25 Novembre 2010 – ore 17:30
FELTRINELLI LIBRI E MUSICA
Corso Zanardelli, 3 – Brescia
Sarà presente l’autore Federico Zazzara


Venerdì 26 Novembre 2010 – ore 18:00
FELTRINELLI LIBRI E MUSICA
Via XX Settembre, 21 – Pavia
Sarà presente l’autore Federico Zazzara


Sabato 4 Dicembre 2010 – ore 17:30
LIBRERIA FELTRINELLI
Corso Umberto I, 56 - Mantova
Sarà presente l’autore Federico Zazzara


Domenica 19 Dicembre 2010 – ore 17:30
LIBRERIA INTERNAZIONALE ROMAGNOSI
Via Romagnosi, 31 - Piacenza
Sarà presente l’autore Federico Zazzara

Sabato 15 Gennaio 2011 – ore 18:00
LIBRERIA MONDOLIBRI
C.so San Gottardo, 41 – Milano
Sarà presente l’autore Federico Zazzara

Sabato 22 Gennaio 2011 – ore 21:00
CIRCOLO ARCI ANOMALIAE
Via Monta Grappa, 169 – Cinisello Balsamo (Mi)
Sarà presente l’autore Federico Zazzara

Sabato 29 Gennaio 2011 – ore 17:30
LIBRERIA MONDOLIBRI
Via delle Contramine, 16 – Pesaro
Sarà presente l’autore Marco Di Pasquale

Sabato 29 Gennaio 2011 – ore 17:30
LIBRERIA PAGINA 18
Via G. Verdi, 18 – Saronno (Va)
Sarà presente l’autore Federico Zazzara

martedì 9 novembre 2010

Il Fabuloso – Senza titulo #4


«Ha i polmoni grossi», dicevano. In un calcio in cui tutto è tecnica, velocità, potenza e intuito, io sono il granellino di sabbia nell’ingranaggio perfettamente oliato dell’offensiva avversaria.
«Ha i polmoni grossi», pensavano. Non calcolavano mica che un argentino sa anche difendere. Non sono mai stato povero, ma ho vissuto tra i poveri. Giocavamo con il mio pallone, sulla spiaggia; ero l’unico che ce l’aveva. Gli altri piroettavano, dribblavano, flic-flac a gogo, biciclette e rovesciate. Ma io arrivavo prima sul colpo di testa, io intervenivo in scivolata, io anticipavo e facevo ripartire.
«Ha i polmoni grossi». Ma ero anche l’unico con le scarpe. E non è cosa da poco. I fenomeni avevano paura di me; col tempo, in Europa, ho imparato a farne un’arma, di questa cosa. Anche oggi i fenomeni hanno paura di me, pure quando indossano le loro scarpette firmate. Ho fatto pubblicità, televisione, ho sei macchine di lusso, la barca, due amanti e tre ville (una è per la moglie). Ma in campo esiste solo una cosa: l’avversario.
«Ha i polmoni grossi», e posso respirare a lungo. Più a lungo di loro. Escono stremati, logori nel fisico e nella testa. Riportano a casa ematomi alle caviglie e brucianti ferite nell’animo. Non sono cattivo, ma «ho i polmoni grossi» e su quel pallone, caro mio, arrivo prima io. Se ti metti di mezzo, ti travolgo. Tu da lì non passi. Non è mai passato nessuno. Capisco che sei il nuovo che avanza; comprendo benissimo ciò che ti passa per la mente: credi di essere il gallo più bello del pollaio. Ma non me ne frega niente; non lo sarai oggi. Non con me. Sono tra i pochissimi al mondo a meritare il Pallone d’Oro e il titolo di Favoloso. Eppure, il giorno dopo la premiazione, ero in campo, a correre, a tenere i polmoni grossi, più grossi dei tuoi. Devi farne di strada, bimbo.

lunedì 1 novembre 2010

Pendolino – Senza titulo #3


Mamma dice che devo stare attento. Sarà…
Il mister dice che non devo montarmi la testa. D’accordo.
Papà ha detto di non spendere tutti i soldi in donne, macchine e alcol. Io non bevo, papi, ed è presto per la patente.
Chiara ha detto che mi lascia. Me ne troverò un’altra.
Il treno Bari-Milano arriva con un puntuale ritardo di un’ora. Dovrebbe esserci un’auto ad aspettarmi. Ho mandato un SMS a due compagni di classe che non ci credono. Un provino! Di quelli seri!
Pendolino, mi ha chiamato l’osservatore. Come quel brasiliano. Io non so neanche chi sia questo brasiliano. Mamma dice che a sedici anni si dovrebbe studiare e prepararsi al futuro, non giocare a pallone. Quando ha visto il contratto non l’ha più detto. Mamma e papà tengono i soldi, ma il procuratore mi allunga qualcosa di straforo. È un brav’uomo, il procuratore. Ha sotto di se tanti ragazzi. Mi ha detto che non mi farà mai prendere la “merda”. Poi è andato in bagno, secondo me pippa, ma è uno bravo.
Pendolino, mi chiamano. Passo tutta la stagione in primavera, girando con il treno tutta l’Italia. Il procuratore mi ha regalato un’iPod e mi posso ascoltare Bersani, che mi piace tanto. Mi sento davvero bene, in treno. Le gambe si rilassano, si chiacchiera, si ascolta musica. E intanto la classifica ci dice bene. La prima squadra sta andando alla grande in Champions, e questa è una figata. Magari un giorno…
Stiamo tornando dalla vittoriosa trasferta di Lecce quando arriva la telefonata. Mi vogliono per un allenamento in prima squadra.
Devo telefonare a mamma. E dire a papà di fare l’abbonamento alla pay-tv.

giovedì 28 ottobre 2010

L’uguaglianza nell’individualità

Mi è stato più volte fatto notare come il racconto Utòpia presente nel libro Lavoro e altre piccole tragedie sia, per l’appunto, un’utopia. Mi è stato più volte fatto notare come questo mondo ideale lo sia solo all’apparenza, marchiando al contrario, di fatto, l’uomo come bestia da macello o, meglio, da lavoro; una unità di produzione. Mi è stato fatto notare l’appiattimento ch’è causa e conseguenza di questo ipotetico sistema. Mi si chiede, ancora, quale sarebbe l’appagamento, la gratificazione, di un lavoro non retribuito (per chi non lo avesse ancora letto: nel racconto si descrive una società senza denaro).
A tutti costoro rispondo «siamo dei codardi». Si badi bene: la prima persona plurale costringe anche chi scrive nell’insieme dei codardi, con ciò intendendo «esseri umani affetti da paura, reale o supposta essa sia».
A mio parere, così modesto e che peraltro condivido, la degenerazione continua e imperitura dell’animo umano è figlia diretta dell’azione del Potere, un cancro lento ma inesorabile che lavora per la Morte, non quella fisica, umana, reale, ma una ben più grave e trista: la Morte della Vita stessa. L’essere umano impaurito e codardo muore decine di anni prima che il suo cuore cessi di battere, muore colto da indifferenza e accidia, ancelle minori del grande mostro: la Noia. Il Potere usa la sua arma meglio riuscita, la Paura, per raggiungere lo scopo: la cessazione di tutti quegli elementi vitali che rendono la vita piacevole. Solo il Potere ha la forza adatta a distruggere l’opportunità della vita. Non la malattia, non la morte fisica; nulla può scalfire il possibile se non l’esercizio del Potere. E il gioco perverso messo in piedi dal potere si regge solo ed esclusivamente sullo sterco del demonio: il Denaro. Senza il denaro, sparisce la paura. Senza la proprietà, svanisce l’indifferenza. Questo è ciò di cui sono convinto e che invito a commentare. Ma prima…
Prima sono costretto a domandarmi: chi l’ha creato il denaro? Da dove arriva?
Quando la scimmia è scesa dall’alberello ha trovato un portafogli rigonfio?


Le origini dell’uomo.
No. Come tutti sappiamo, tra i 40.000 e i 10.000 anni fa, eravamo cacciatori-raccoglitori (di erbe selvatiche, non coltivate: quindi di nessuno e conseguentemente di tutti). Gli uomini erano organizzati in piccoli gruppi con ruoli ben precisi, ognuno faceva il suo e quindi aveva il suo. È da qui che veniamo.
Tutto ciò viene stravolto dall’

Avvento dell’agricoltura. Quindi della proprietà e della moneta.
Dal momento in cui l’uomo si ferma e scopre che è più facile coltivare la terra che girare e cercare da mangiare, si stabiliscono rapporti di padronanza e sudditanza. Io possiedo la terra, tu la lavori (il Dominium ex iure Quiritium di epoca regia rappresenta la prima regolamentazione del diritto romano in materia di proprietà). Aumentano le conoscenze, le distanze percorribili, e lo scambio tra le persone avviene tramite protomoneta: bestiame, beni, metalli preziosi. Il baratto pian piano non basta più (non posso scambiare uva con arance, si raccolgono in periodi diversi dell’anno) e fa la sua comparsa la moneta (lat. monere, ammonire – si veda l’Assedio di Brenno, 396 a.C.), intesa come entità di valore interscambiabile comunemente accettata dalle parti. Particolarità di questa “nuova ricchezza” è l’immagazzinabilità ad libitum. È questo che cambia il mondo, questo semplicissimo concetto: la frutta tende ad avariarsi, le monete no. Il mondo ha finalmente trovato il suo vero Dio.

Buona novella.
Qualcosa che il Papa ha dimenticato: quella setta del Giudaismo che pian piano prese il nome di Cristianesimo era, in origine, organizzata in comunità. Ciò significa assenza di proprietà e gruppi di persone che concorrono allo star bene.

Oggi.
Il luogo comune che vede la nostra piccola porzione di mondo occidentale come faro nell’universo e come unica possibile scelta si scontra con miriadi di esempi di società non basate sul denaro. Le comunità cristiane primitive, come detto. Gli indiani d’America, ad esempio. I Boscimani, i Pigmei, gli Inuit, gli Aborigeni. A tutt’oggi sono moltissimi e geograficamente distanti tra loro gli esempi di comunità che vivono senza denaro. Ma la risposta idiota e spaventata che le nostre menti daranno (il Sistema funziona) è… primitivi. Bene.
A Torino, nel maggio del 2009, si è tenuto per la prima volta il SenzaMoneta. Lo scambio come alternativa al consumo. Un semplice mercatino, dove al posto di comprare ci si scambia roba. Roba!
Alberto Salza ha recentemente pubblicato Niente. Come si vive quando manca tutto. Antropologia della povertà estrema (Sperling&Kupfer – 2009), in cui narra della vita di un miliardo e mezzo di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno. Questa strana e abusata espressione probabilmente va meglio spiegata per essere ben letta: si tratta di una media. Fuori dalla metafora ad effetto, questa frase significa che un miliardo e mezzo di persone NON ha quel dollaro, cioè il denaro. Eppure sono lì. Non sparisce quel miliardo e mezzo di persone. Come mangia, se non ha soldi, un miliardo e mezzo di individui?
In Italia c’è una comunità (zerorelativo
Nel recente documentario di Michael Moore Capitalism: a love story (2009) viene presentato un diverso tipo di società produttiva: la Isthmus Engineering and Manufacturing Co-op (http://www.isthmuseng.com/company/worker-owned-cooperative/). Vi invito a leggere il loro profilo industriale. Noterete strane espressioni quali the result of the very best efforts of our entire staff, oppure each member shares in the responsibility of managing the business e anche the success of our employee-owned company is contingent on the performance of every member of the Isthmus team. Sì, frasi riscontrabili su qualunque profilo compagnia, sul web. La grande differenza è che in questo caso è vero. La Isthmus è una Worker-Owned Cooperative del Wisconsin. Gradite una traduzione? Tutti i lavoratori sono proprietari dell’azienda. Ognuno vale uno (vi ricorda niente?). Un modo alternativo per tradurla è che, senza padroni, questa società ha un fatturato di 15 milioni di dollari in robot… Un altro modo ancora è che nessuno può auto-aumentarsi lo stipendio senza incontrare l’opposizione altrui. È impossibile il licenziamento se non c’è l’accordo di tutti i colleghi. Sul posto di lavoro si è veramente tutti uguali. In che modo, tutto ciò? Stando alle parole di un intervistato, «la gestione avviene in modo democratico: ciascun socio ha un voto e pari diritto di parola. Il-denaro-non-fa-parte-di-questa-formula».
Nel mondo moderno abbiamo anche un’abitudine, poco nota e a cui si dovrebbe dare più visibilità: il barter trading (http://it.wikipedia.org/wiki/Barter). Riassumendo, un’azienda offre un prodotto in cambio di un servizio (io produco bulloni e tu fai ponti: ti do dei bulloni se mi insegni come fare bene i bulloni per i ponti).
È questa la mia personale conclusione: sono convinto che «solo il combinarsi di intelligenza e lavoro collettivo ha permesso all'essere umano di uscire dallo stato di brutalità selvaggia che costituiva la sua origine naturale» (Mikhail Bakunin, La Comune di Parigi e l'idea di stato – 1871).

Lavoro collettivo. Lavoro scambiato. Barter trading all’ennesima potenza. Nel 2010. Sì, perché il Pleistocene si è concluso, appunto, 10.000 anni fa. L’essere Uomo ha perso qualche pelo, muore un po’ più tardi ed ha più necessità. Vuole di più, per il semplice motivo che è in grado di immaginarlo. E allora ben vengano le comodità, le nuove tecnologie. È indubbio che la tecnologia oggi rientri tra le necessità. Ciò che sfugge è il salto logico che va ad inserire in un sistema di lavoro il denaro, quando gli scambi possono essere più equi. Forse che un programmatore non ha bisogno di pane? Un ingegnere non si ammala? Un medico non si veste?
Il lavoro scambiato è l’unica opportunità di vero cambiamento. Nessun sistema (è stato ampiamente dimostrato dall’ultimo secolo che sistemi economici quali statalismo e liberismo sono fallimentari per la massa) può dedicarsi al popolo se i rapporti umani sono gestiti dal denaro. L’individuo ha bisogno di veder soddisfatte le sue necessità base perché tutti si sia, davvero, uguali. E l’uguaglianza è rintracciabile solo nella soddisfazione di tutti gli individui. Senza il denaro, avrò più naturale possibilità a svolgere il lavoro nel quale sono competente. Senza il denaro, decade l’orrore di un uomo che muore per fame. Senza il denaro, perde senso l’arrampicata sociale. Senza il denaro, perde potere il Potere.

Alla prossima.

 
 
 

domenica 24 ottobre 2010

Il terzo terzino – Senza titulo #2

Madrid.
È bello arrivare in finale. È bello avere una vetrina internazionale come questa. È bello sedere di fianco a tanti campioni. Però che palle! Stavolta ci avevo sperato. Beppe ha avuto un infortunio durante l'ultimo allenamento, e credevo proprio che toccasse a me. Sapete, quel leggero colpo di culo che determina una carriera. È successo a Francesco, ad Alessandro, e guarda dove sono arrivati. E invece…
Il mister annuncia la formazione, oggi pomeriggio, e per l’ennesima volta mi piazza al suo fianco, a riscaldargli le gambe (quando è qui vicino; lui che se ne sta sempre lì in piedi, a fischiare). E avesse almeno avuto il buon gusto di dirmelo chiaramente! È tutta la stagione che sono qui, lavoro bene, mi alleno tutti i giorni, do il massimo. E quando finalmente può buttarmi nella mischia, preferisce quel ragazzino. È inutile che racconti barzellette Julio! Stai in panchina pure tu! La prossima volta ci portiamo la PSP: le finali saranno pure emozionanti, ma che noia la panchina! Questi stanno chiusi a riccio e sarà un’ora che giriamo la palla: l’ala tocca per il centrale, il centrale smista a sinistra, il terzino (bastardo) ripassa al mediano. Mi fa male la testa. Non lo merito. Chissà, magari se fossi andato a Genova… piazza più piccola, più spazio per un calciatore medio ma blasonato a dovere. Ho ancora venticinque anni, dicono. Avrai le tue possibilità. Ma quello ne avrà sì e no sedici! Guardalo là! Credi davvero di poter saltare quel gigante?
Okay, l’hai saltato. E adesso come ti metti? C’è il mastro, lì in mezzo. Tre Coppe dei Campioni, un Mondiale e cinque Scudetti. Quello c’ha un’esperienza che
Okay, l’hai saltato pure lui. Ora puoi passare quella cazzo di palla? Ehi, questa serpentina deve avere fine! Dai che c’è Luca lì! Passa! Passala, Cristo!
GOAL!!!


lunedì 18 ottobre 2010

La solitudine dei numeri uni – Senza titulo #1


Si apre oggi una serie di raccontini che tratteranno i ruoli di vari calciatori. Questo sarà l’appuntamento del lunedì. Non ho un titolo per questa serie, quindi datemi una mano. Fate la vostra proposta e la migliore diventerà il titolo di ciò che, per ora, chiamerò Senza Titulo.

Che spettacolo!
Da qui li vedi: tutti e tutto. Si agitano, corrono, sudano. Hanno il diritto di sbagliare, loro. Un centrocampista perde palla, un difensore cicca un intervento… e sta a te risolvere i guai. Per non parlare delle punte! Ne mettessero dentro una!
Sì, eri quello con i piedi storti, è vero, ma non è invidia, la tua. Hai gli occhi puntati addosso nei momenti critici, e poi tutti si dimenticano di te. Puoi inanellare una decina di partite perfette e poi, alla prima che ti sfugge, tutti a darti addosso. Ma l’hanno mai preso in mano, gli altri, uno di questi nuovi palloni? Hanno visto come si carica d’effetto quando tira quel maledetto n.7? Tu sei lì, pronto, e quella stronza si gira all’ultimo secondo, lasciandoti solo la vibrazione dell’umiliazione. Tutti ti guardano, sei tu il colpevole. Ma chi si ricorda che l’unica Coppa di Lega è in bacheca grazie a quel rigore che hai rispedito al mittente? Rammentano quel cucchiaio che hai tolto dall’incrocio oppure no?
E dire che dovevi diventare professore. Per 10 anni studio, allenamento; allenamento, studio. Neanche il tempo di trovare una ragazza. Poi è arrivata l’offerta, un’offerta vantaggiosa, certo. Ma ora…
Che palle starsene soli!
Elena dev’essere tra il pubblico. Ti starà guardando. Sarà meglio mostrarsi concentrati. Avresti voglia di stare con lei, al posto che lì al freddo. Clap-clap! Bello l’intervento del difensore, bravo. Solo che così sono quasi venti minuti che non tocchi palla. Cosa dirà lo sponsor? E poi c’è quella ragazzina di Modena che
Oh cazzo… attento! Arrivano!

giovedì 14 ottobre 2010

Affinità e divergenza tra il Re e il giovane Talento

Ne vendono già abbastanza di libri, perché parlarne?


Stephen Edwin King e Niccolò Ammaniti sono sicuramente i miei scrittori preferiti, se la preferenza si conta in chili di pagine. Sono gli autori che ho letto di più. E perciò, credo, sono coloro di cui subisco più di tutti un’influenza. Al di là di questo, devo probabilmente a loro il mio amore per la lettura prima, e per la scrittura poi. Quindi, che i critici se la prendano in quel posto: io questi due li adoro. Anche sforzandomi – e Dio me n’é testimone: ci provo sempre! – non riesco a intravedere nulla di male se ‘sti pazzi riescono ogni volta a regalarmi qualche ora di piacere.

Senza noiosi passaggi biografici o inutili elenchi di opere, spiego il motivo di questo pezzo: ho sempre notato moltissimi punti d’incontro tra i due autori, ed una grandissima differenza. Li accomuna certo il linguaggio crudo, materialista; la struttura delle storie, con le continue strizzate d’occhio al montaggio cinematografico; il gusto per l’anticipare l’andamento delle vicende, riuscendo comunque a tenere incollato il lettore nell’annosa domanda come cacchio andrà a finire?; ma non è solo sul piano dello stile che propongo questa affinità.

Stephen King era definito dal Time Magazine «maestro della prosa post-alfabetizzata». Niccolò Ammaniti, su La Stampa, «l’ovvio dei popoli». Insomma, i critici (com’era quella storia di Lao Tsu? Ah sì: Chi sa fa, chi non sa insegna) questi due se li sono sempre magnati a colazione! Ed è divertente, perché letterati o no, ci sono milioni di persone che se li sono letti, se li leggono e se li leggeranno.

Altra affinità mica da poco è che devono la loro buona vita al cinema. I diritti di Carrie – Lo sguardo di Satana (Brian DePalma, 1976) permisero a King di dedicarsi in tutto e per tutto allo scrivere e di riempire le librerie di quasi settanta nuovi titoli nell’arco di 34 anni. Il fatto che Salvatores sia innamorato di Ammaniti (Io non ho paura, 2003; Come Dio comanda, 2008) ha permesso allo scrittore romano il salto al grande pubblico (c’è anche L’ultimo capodanno, film del 1998 di Marco Risi, che pur aggiungendo una giovane Bellucci completamente nuda all’ironica surrealtà del racconto di Ammaniti, non ebbe comunque notorietà).

Oggi King viene considerato all’unanimità il «Re del brivido». Il Times ha dichiarato Ammaniti «la nuova parola italiana per talento».

Il tempo farà il resto.

Ma la divergenza c’è, ed è di carattere poetico. Se in Buick 8 (2002) e Cell (2006) il Male non si sa bene da dove arrivi, in L’ultimo capodanno dell’umanità (1996) e Che la festa cominci (2009) è chiarissimo. Sembra che l’ironico cinismo che accomuna i due li separi invece nelle intenzioni non dichiarate: per King l’orrore arriva dal nulla, per nulla. Leggendo It (1986) il concetto è ancora più chiaro: il Male arriva dall’Universo sulla Terra nel momento della sua creazione. Non è colpa di nessuno: è preesistente all’uomo e i poveri cristi devono combatterci. In Cell l’intero pianeta cade nella follia più totale a causa di un segnale elettromagnetico che non si scoprirà, a romanzo finito, da dove provenga. Ammaniti è diverso: l’orrore sembra consustanziale all’uomo. Ne L’ultimo capodanno dell’umanità la follia devastatrice del condominio romano Le Isole (microcosmo che funge da sineddoche per il mondo intero) proviene dai condomini stessi: tutti sono partecipi, correi, direttamente colpevoli della fine del mondo. Il Male è nell’uomo, così come in Che la festa cominci: senza la pazzia di Sasà (l’organizzatore del party del secolo), il delirio delle belve di Abaddon e l’oppressione del regime sovietico, tutto quel casino non sarebbe successo.

Mi affascina questa differenza, perché è in tutto e per tutto simile alla domanda che ognuno di noi si fa quotidianamente: ma perché si sta male? La colpa è “degli altri” (il Sistema? il denaro? Dio? il Demonio?) o è insita in noi?

Queste, finora, mi sembrano le posizioni dei due autori. Sto leggendo The Dome (2009). Vediamo se stavolta King mi svela il maggiord… ehm, il colpevole.

Alla prossima.

lunedì 11 ottobre 2010

AI PROFESSORI UNIVERSITARI, TUTTI

AI PROFESSORI UNIVERSITARI, TUTTI
(perché coloro che sanno sono già colpevoli)

Farabutti spocchiosi snob e ignoranti
virgole della vita, errori del sistema
porci sporchi e mangioni che ranciate gli atenei
senza rispetto, zuppi di sospetto
che affarate come il bimbo che è tutto suo
e chiamate Sapienza il vostro truculento analfabetismo
nascosto bene dietro le cattedre di canoni religiosi
e mandate alla malora la ricerca scientifica italiana
che i papponi tagliano con bontà
e ciò che divide la gente è populismo e verità,
morti di fame pieni di soldi
con il buco in poltrona per farvi penetrare
e, quel che più mi fa ribrezzo, stanchi

vi presento oggi la mia migliore amica: Storia

dice che vi aspetta nelle gogne della vergogna
per pisciarvi in faccia tra le risate dei posteri.

venerdì 1 ottobre 2010

5 Sensi d'autore

Marco Di Pasquale e Federico Zazzara presenteranno Lavoro e altre piccole tragedie a Roma, alle 21.00, sabato 9 ottobre 2010, in occasione delle serata organizzata da 5 Sensi d'autore (http://www.5sensidautore.it/eventi.php)

giovedì 23 settembre 2010

Gethsemane

Il Getsemani, lo sanno tutti, è l’uliveto nel quale Gesù fu arrestato dopo l’ultima cena. E questo lo dicono i Vangeli. Oggi, a Gerusalemme, c’è effettivamente un bellissimo giardino chiamato Getsemani, ma è di molto successivo, della metà del diciannovesimo secolo. Se effettivamente esistesse questo piccolo Orto degli Ulivi nel 27 d.C., credo non sia facile dirlo con esattezza. Fatta questa piccola precisazione storica, e precisando anche che non è mia intenzione offendere la sensibilità di nessuno (può una canzoncina offendere qualcuno?), devo ora essere sincero: non sono un critico, men che meno un critico musicale. Le attività che riempiono il mio tempo vitale, sino ad oggi, sono essenzialmente due: scrivere e guardare film. Ciò non fa di me un uomo colto o un professore. Questo dato suggerisce solo che ne ho viste e lette un po’. Significa inoltre che mi piace farlo.
Gethsemane (I only want to say) è un pezzo contenuto nel film di Norman Jewison Jesus Christ Superstar e interpretato da Ted Neeley. Prima della trasposizione in pellicola, JCS fu distribuito come doppio long playing (1970), in cui la parte di Gesù era affidata a Ian Gillian, cantante dei Deep Purple. Poi passò attraverso Broadway (1971) come musical, per finire, nel 1973, finalmente sul grande schermo.
L’opera tratta la vicenda in modo assolutamente non-convenzionale: la figura di Giuda perde parte della sua connotazione negativa e diventa la mente, la Ragione. Gesù è invece molto più umano di quanto la tradizione cristiana non riporti (è l’unico film della storia a non presentare alcun tipo di miracolo; anzi, nella parte finale di The Temple, Gesù griderà ai lebbrosi che lo sommergono chiedendogli di curarli di lasciarlo stare – nell’originale teatrale la frase era curatevi da soli).
Essa deve qualcosa ai cosiddetti Vangeli Apocrifi (gli scritti riguardanti Gesù che furono esclusi nel 325 d.C. dal Primo Concilio di Nicea, il quale, oltre a determinare che gli unici Vangeli Canonici erano quelli di Giovanni, Matteo, Luca e Marco, dichiarò la nascita virginale di Gesù e l’eresia di Ario, il monaco egiziano che contrastava il concetto di consustanzialità di Gesù con Dio. Proprio alla corrente teologica di Ario sembra ispirato JCS) e ci restituisce una visione molto più umana e umanistica di Gesù.
A questo link è possibile vedere l’estratto di JCS di cui mi piacerebbe parlare:
http://www.youtube.com/watch?v=A99gvKl05cU
Gesù è nell’Orto degli Ulivi, subito dopo l’Ultima Cena e poco prima dell’Arresto, e i suoi discepoli si sono addormentati.
Nessuno resterà sveglio con me? Pietro? Giovanni? Giacomo?
Nessuno di voi aspetterà con me? Pietro? Giovanni? Giacomo?

Gesù è solo. Coerentemente, il pezzo si apre con la parola io.

I only want to say
If there is a way
Take this cup away from me
For I don't want to taste its poison
Feel it burn me,
I have changed I'm not as sure
As when we started

Vorrei solo dire, se c’è un modo... Gesù chiede timidamente a Dio di evitargli l’amaro calice, perché non vuole assaggiarne il veleno che lo brucia. La scelta registica della desolazione della montagna e dei sassi è secondo me azzeccata; Gesù non solo si rivolge a Dio chiedendogli di evitargli un dolore che Lui stesso ha deciso (Gesù deve “scalare la montagna” per riuscire a parlare e rivolgersi all’Altissimo): nessuno può assistere ad una “preghiera” (parlare al sacro). È il massimo dell’intimità. Ma Gesù è cambiato: non è più così sicuro come quando abbiamo iniziato. Ricordatevi questo abbiamo iniziato.

Then I was inspired
Now I'm sad and tired
Listen surely I've exceeded
Expectations
Tried for three years
Seems like thirty
Could you ask as much
From any other man?

Il tono di Gesù cambia: Ascolta, di sicuro ho superato ogni aspettativa. Neeley alza il tono in una mimesi molto efficace: vuole far notare che ci ha provato, davvero, per tre anni (talmente intensi che sembrano trenta) e che il Signore non poteva chiedere a nessun altro uomo così tanto. Neeley mostra ottime capacità vocali, ma è anche una buona prova d’attore. Il film ci mostra quest’uomo che sta effettivamente parlando con qualcuno, senza farci vedere con “chi” stia parlando.

But if I die
See the saga through
And do the things you ask of me
Let them hate me, hit me, hurt me
Nail me to their tree
I'd want to know my God
I'd want to see my God
Why I should die
Would I be more noticed
Than I ever was before?
Would the things I've said and done
Matter any more?

Ma se io muoio. L’inglese permette una sillabazione perfetta in una delle frasi centrali della canzone, sottolineata dal primo sguardo diretto in camera di Neeley/Gesù (la macchina da presa in questo estratto funge da sguardo di Dio, e Gesù lo fissa direttamente negli occhi quando dice per la prima volta cosa è destinato a patire). Se faccio le cose che mi chiedi, se lascio che mi odino, che mi colpiscano, che mi feriscano e m’inchiodino al loro legno… Da notare la musicalità cadenzata di quei hate me - hit me - hurt me, ma soprattutto notate come Neeley gratta quel secondo I’d want to see (vorrei capire) prima di porre la domanda fondamentale: perché dovrei morire? ancora una volta con una sillabazione che permette ad ogni parola di essere un suono, quasi un concetto a sé stante. Sarei più noto di quanto non lo sia stato prima? Le cose che ho detto e fatto avrebbero maggior valore? Nell’immagine Gesù è mostrato tra due rocce, quasi intrappolato (quanto strizza l’occhio al western, questo take!), o meglio sprofondato in una sorta di imbuto (secondo il Credo degli Apostoli, dopo la sua morte Gesù discese nell’Inferno – potrebbe esserci un disguido di traduzione tra Ade [Regno dei Morti] e Inferno – e nell’immaginario collettivo, grazie anche e soprattutto a Dante Alighieri, l’Inferno altro non è che un imbuto con al suo vertice basso Lucifero[1]). Ma proprio da quest’abisso verrà fuori la parte più realmente umana di Gesù.

I'd have to know my Lord
I'd have to see my Lord
If I die what will be my reward?
I'd have to know my Lord
Why, why should I die?
Oh, why should I die?
Can you show me now
That I would not be killed in vain?
Show me just a little
Of your omnipresent brain
Show me there's a reason
For your wanting me to die
You're far too keen on where and how
But not so hot on why
Alright I'll die!
Just watch me die!
See how, see how I die!
Oh, just watch me die!

Gesù ricomincia a scalare la roccia, la voce di Neeley tira fuori quanto di più hard rock è in grado di creare, e l’Uomo si fa avanti: Se muoio, quale sarà la mia ricompensa? L’Uomo arriva alla fine della sua estenuante salita, sulla cima della montagna, e finalmente al punto Dovrei sapere, mio Signore, dovrei capire, perché? È l’acuto dell’uomo perso, è il grido della disperazione di fronte alla morte, o alla mancanza di senso, o al dolore. Dopo aver avanzato “scuse”, l’Uomo nudo di fronte alla realtà capisce di non capire, sa di non sapere. E cerca di rivolgersi a chi è più grande di lui, con violenza, così come violento è il senso di spaesamento di fronte all’inevitabile. Sono convinto che in questo acuto sia espresso formalmente ed esteticamente il motivo stesso della fede o della non-fede, atei e credenti racchiusi in un unico suono stridente, in quanto dietro la risposta che ognuno di noi da a questa infantile e terribile domanda, c’è la scelta spirituale di essere o no fedeli, e di questa “dialetticizzazione”, dell’averci dato una “parola” che parola non è per esprimere un concetto tanto umano, dobbiamo ringraziare Neeley ed il Rock (Gillian è bravo, certo, ma a mio parere non arriva neanche lontanamente alla drammaticità della voce di Neeley, in questo preciso passaggio). Perché, perché dovrei morire? / Oh, perché dovrei morire? Puoi mostrarmi ora / che non verrei ucciso invano? Mostrami solo un po’ / della tua mente onnipresente / Mostrami che c’è una ragione / per cui tu vuoi che io muoia / Sei fin troppo preciso sul dove e sul come / ma non altrettanto sul perché.
Questa è anche la parte in cui si evidenziano meglio le qualità d’attore, e ci sono, del cantante. Il viso è livido, le mosse studiate e tragiche, fino ad un’accettazione che, in prima istanza, sembra quasi il minuscolo dispetto di un Figlio di fronte ad un Padre troppo grande e severo:
Va bene, morirò!, dice Gesù inginocchiandosi, materialmente, al volere del Padre.
Guardami morire! Guarda come muoio! Sta’ solo a guardami morire!

Seguono immagini di riproduzioni artistiche della crocifissione. Qui Jewison sembra volerci suggerire che, all’apice della sua preghiera/discorso con Dio, a Gesù venga ribadito che deve morire, null’altro. Ci si potrebbe anche leggere un messaggio da buona novella, da esempio per le genti future di tutto il mondo, ma credo che si commetterebbe l’errore di interpretare in chiave religiosa, cosa che fino a questo momento il film non ha suggerito. Fatto è che, subito dopo questa parte che non è esagerato definire epica e psichedelica (in fin dei conti, è pur sempre un’opera rock!), Gesù accetta la sua sorte.

Then I was inspired
Now I'm sad and tired
After all I've tried for three years
Seems like ninety
Why then am I scared
To finish what I started
What you started
I didn't start it
God thy will is hard
But you hold every card
I will drink your cup of poison
Nail me to your cross and break me
Bleed me, beat me
Kill me, take me now
Before I change my mind

Neeley/Gesù ripete di aver perso l’ispirazione, e di essere solo triste e stanco. Ha gli occhi bassi, chiede un aiuto che non arriverà a suo Padre. I tre anni che sembravano trenta, ora sembrano novanta. Si chiede perché è così spaventato di portate a termine ciò che ho iniziato? Ciò che tu hai iniziato, non io. Gesù non si sente più compartecipe di un progetto comune, ma vittima sacrificale di un’idea incomprensibile. L’iniziale abbiamo iniziato si trasforma in non io l’ho iniziato (si noti la rima started/started/start it), ma Gesù si rialza da terra seguito dalla steadycam, conferma che la Tua volontà è dura, ma sei tu che tieni le carte, comandi il gioco. La canzone si avvia alla conclusione con tono epico, nella migliore interpretazione di Neeley: Gesù berrà l’amaro calice.
Inchiodami alla tua croce e spezzami
Fammi sanguinare, colpiscimi
Uccidimi, prendimi adesso
Prima che cambi idea

Se l’ultima inquadratura può suggerire una ritrovata armonia con il creato ed il Creatore, l’ultima frase ed in particolare il lungo vibrato sull’ultimissima parola insinuano invece il dubbio che Il Dubbio stesso non sia del tutto risolto; in effetti, sulla croce in The Crucifixion tornerà il famoso Elì Elì lema sabachthani (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?) che è l’unico momento nei Vangeli in cui Gesù sembra veramente Uomo (in misura minore, anche l’episodio del mercato nel Tempio, di cui vi consiglio caldamente la visione in JCS - Get out!).

Tutto questo post d’opinabile lunghezza avrà senso se sarò riuscito a farvi gustare Gethsemane (I only want to say) almeno la metà di quanto piace a me. In caso contrario, chiedo scusa dei minuti che vi ho rubato e vi invito ad ascoltare altro; tipo, chessoìo, i Tokyo Hotel. Ne ho sentito un gran bene.
Alla prossima.
[1] Tradizione vuole che, quando Dio scacciò Lucifero dal Paradiso, la Terra, schifata, si ritrasse creando così l’”imbuto” dell’Inferno

martedì 14 settembre 2010

Motivazione del premio Lunezia Jazz d'Autore 2010: Simona Molinari con "Amore a prima vista" (feat. Ornella Vanoni)

Nella migliore tradizione della musica italiana si inserisce il filone del jazz e della bossa nova, tradizione a cui Simona Molinari si accosta con Amore a prima vista duettando con Ornella Vanoni, che del genere vanta esperienza.
Difficile la prova, magistrale il risultato: le melodie si snodano suadenti nel piano armonico e corrono sul filo dell’incastro tonale, riuscendo orecchiabili ma tutt’altro che semplici, come in una raffinata fantasia brasiliana.
L’allargamento armonico che nel Nord America appartiene al jazz, naturale si snoda nella bossa nova sudamericana, e in tal senso la canzone italiana ‘bossa jazz’ rappresenta il connubio perfetto tra intuizione e calcolo, spontaneità e senso della costruzione, riuscendo ad appagare pubblico e critica, orecchie distratte e palati fini.
Amore a prima vista è un sintesi elegante di questa combinazione, a cui la fresca timbrica della giovane Molinari e la vicenda narrata aggiungono un tocco di contemporaneità.


www.youtube.com/watch?v=n9qRVLsnGW8


E poi c’è il testo, che ‘si sta a sentire’ come nella migliore tradizione della canzone d’autore. La leggerezza con cui la voce affronta le peripezie melodiche diventa la leggerezza con cui la donna affronta la vita: una donna finalmente libera dalla pesantezza di un ‘rapporto stanco’ e volta a un’esperienza nuova e spontanea, un voce svincolata dagli schemi, che va verso librazioni felici. La musica aiuta la condizione femminile troppo spesso pregna di moralismo. Per questo ha senso il duetto: per creare un filo storico di emancipazione femminile, che dalla Vanoni arriva a Molinari, passando per le conquiste che, almeno nell’arte musicale, non sembrano negate da un mondo intriso di virile bigottismo.






Analisi Musical-Letteraria di Marco Di Pasquale