giovedì 14 ottobre 2010

Affinità e divergenza tra il Re e il giovane Talento

Ne vendono già abbastanza di libri, perché parlarne?


Stephen Edwin King e Niccolò Ammaniti sono sicuramente i miei scrittori preferiti, se la preferenza si conta in chili di pagine. Sono gli autori che ho letto di più. E perciò, credo, sono coloro di cui subisco più di tutti un’influenza. Al di là di questo, devo probabilmente a loro il mio amore per la lettura prima, e per la scrittura poi. Quindi, che i critici se la prendano in quel posto: io questi due li adoro. Anche sforzandomi – e Dio me n’é testimone: ci provo sempre! – non riesco a intravedere nulla di male se ‘sti pazzi riescono ogni volta a regalarmi qualche ora di piacere.

Senza noiosi passaggi biografici o inutili elenchi di opere, spiego il motivo di questo pezzo: ho sempre notato moltissimi punti d’incontro tra i due autori, ed una grandissima differenza. Li accomuna certo il linguaggio crudo, materialista; la struttura delle storie, con le continue strizzate d’occhio al montaggio cinematografico; il gusto per l’anticipare l’andamento delle vicende, riuscendo comunque a tenere incollato il lettore nell’annosa domanda come cacchio andrà a finire?; ma non è solo sul piano dello stile che propongo questa affinità.

Stephen King era definito dal Time Magazine «maestro della prosa post-alfabetizzata». Niccolò Ammaniti, su La Stampa, «l’ovvio dei popoli». Insomma, i critici (com’era quella storia di Lao Tsu? Ah sì: Chi sa fa, chi non sa insegna) questi due se li sono sempre magnati a colazione! Ed è divertente, perché letterati o no, ci sono milioni di persone che se li sono letti, se li leggono e se li leggeranno.

Altra affinità mica da poco è che devono la loro buona vita al cinema. I diritti di Carrie – Lo sguardo di Satana (Brian DePalma, 1976) permisero a King di dedicarsi in tutto e per tutto allo scrivere e di riempire le librerie di quasi settanta nuovi titoli nell’arco di 34 anni. Il fatto che Salvatores sia innamorato di Ammaniti (Io non ho paura, 2003; Come Dio comanda, 2008) ha permesso allo scrittore romano il salto al grande pubblico (c’è anche L’ultimo capodanno, film del 1998 di Marco Risi, che pur aggiungendo una giovane Bellucci completamente nuda all’ironica surrealtà del racconto di Ammaniti, non ebbe comunque notorietà).

Oggi King viene considerato all’unanimità il «Re del brivido». Il Times ha dichiarato Ammaniti «la nuova parola italiana per talento».

Il tempo farà il resto.

Ma la divergenza c’è, ed è di carattere poetico. Se in Buick 8 (2002) e Cell (2006) il Male non si sa bene da dove arrivi, in L’ultimo capodanno dell’umanità (1996) e Che la festa cominci (2009) è chiarissimo. Sembra che l’ironico cinismo che accomuna i due li separi invece nelle intenzioni non dichiarate: per King l’orrore arriva dal nulla, per nulla. Leggendo It (1986) il concetto è ancora più chiaro: il Male arriva dall’Universo sulla Terra nel momento della sua creazione. Non è colpa di nessuno: è preesistente all’uomo e i poveri cristi devono combatterci. In Cell l’intero pianeta cade nella follia più totale a causa di un segnale elettromagnetico che non si scoprirà, a romanzo finito, da dove provenga. Ammaniti è diverso: l’orrore sembra consustanziale all’uomo. Ne L’ultimo capodanno dell’umanità la follia devastatrice del condominio romano Le Isole (microcosmo che funge da sineddoche per il mondo intero) proviene dai condomini stessi: tutti sono partecipi, correi, direttamente colpevoli della fine del mondo. Il Male è nell’uomo, così come in Che la festa cominci: senza la pazzia di Sasà (l’organizzatore del party del secolo), il delirio delle belve di Abaddon e l’oppressione del regime sovietico, tutto quel casino non sarebbe successo.

Mi affascina questa differenza, perché è in tutto e per tutto simile alla domanda che ognuno di noi si fa quotidianamente: ma perché si sta male? La colpa è “degli altri” (il Sistema? il denaro? Dio? il Demonio?) o è insita in noi?

Queste, finora, mi sembrano le posizioni dei due autori. Sto leggendo The Dome (2009). Vediamo se stavolta King mi svela il maggiord… ehm, il colpevole.

Alla prossima.

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