lunedì 31 ottobre 2011

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 7: LUNA PERSA, Max Manfredi

I 100 MIGLIORI ALBUM DEL NUOVO MILLENNIO - n. 7
LUNA PERSA, Max Manfredi
Luna persa è una rinuncia al consueto e innesca la scommessa del valore in Italia e nel mondo. Impossibile tradurre, impossibile parafrasare, impossibile spiegare in poche parole (son quelle che mi impongo senza motivo in effetti) l’architettura di un tale disegno che si regge in piedi in ogni stanza senza poter capire come sia possibile ritrovarsi dal tinello al salone senza dischiudere una porta. Tutto perfetto: musica, struttura dell’album e non parliamo dei testi; d’ora in poi la classifica diventa opinione strettamente personale, perché chiunque potrebbe sostenere che questo, così come ognuno dei possimi, è l’album più bello del nuovo millennio. Per chi non conoscesse Max Manfredi...ecco, l’album è così ben equilibrato che c’è anche una canzone, La fiera della Maddalena, per chi non conoscesse Max Manfredi, un pezzo fatto con De André. Per chi lo conosce può evitare di ascoltarla (e infatti è catalogata solo come bonus track), perché non c’entra niente con questo percorso spirituale che ci trasporta con sapienza filologica dal carillon di Au clair de la lune a L’ora del dilettante, manifesto sonoro di una generazione italiana che sta per arrivare come un temporale («le tendine e le vele sbattevano sotto il maestrale») con l’arroganza di chi sa parlare meglio di «una giuria fatta...da gente tutta d’un pezzo» che non sa distinguere «il valore dal prezzo». Il regno delle fate è l’opposizione ideologica subito pronta a chi stava già per dire stoltamente che è facile criticare senza proporre. Sulla stessa dicotomia Terralba tango e Retsina: dopo le tossine abbandonate si trova un posto dove ci si può finalmente fermare. È come un arrivo Retsina: da qui si torna pian piano nello schifo, che subito si vuol cercare di mondare con Libeccio, a mio parere tra le cinque canzoni più bello secolo, ed è meglio tacerne l’analisi perché il dilungamento è già dilagato. L’enigma comincia ad affacciarsi con Quasi, che io interpreto in un inquadramento hollywoodiano, o meglio bollywoodiano, con uno scarto tra finzione e quello che si crede realtà. Più difficile Zimbalon (d’altronde anche la musica si complica mischiandosi a un 5/4) e Aprile, dietro la cui semplicità si può nascondere l’orribile mostro del malizioso, o peggio della pedofilia, soprattutto se la si collega alla crudeltà della canzone successiva: altro capolavoro, Il morale delle truppe è l’ultimo inno del pacifista, che ormai disarmato di fronte ai guerrafondai, non può far altro che dargli voce e musica, alla berlina, l’unica che può fare un disarmato. Il treno per Kukuwok è il pezzo meno forte dell’album, forse per l’eccessiva esplicitazione, anche se molto ironica, di un mancato Eden esotico, che ci possa esiliare da noi stessi. Ma Luna persa è il degno finale di un’opera mastodontica: progressive e canzone d’autore si incontrano magnificamente e disegnano un quadro spettacolare, un affresco sonoro e verbale di continua corrispondenza, che getta luce sul resto dell’album, una luce di luna persa, cioè rossa, ma anche perduta, e perduta proprio come è perduta la parola “persa” per indicare il colore, anche se basterebbe questo, cioè il semplice ascolto, per non diventare un ignorante guerrafondaio, un vizioso forse pedofilo, un vampiro che succhia alcool, uno scaricatore di porto che getta tossine nel mare facendo di finta di non vedere, o peggio di tutto: un giovane promettente. Se ti pulisci col vento del fado gli stivali italiani prima di entrare, potrai fermarti qui, nel regno delle fate.

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